Regia di Joe Johnston vedi scheda film
Terzo e ultimo capitolo del franchise. La regia toccò a Joe Johnston che nelle intenzioni di Steven Spielberg doveva girare “Il mondo perduto - Jurassic Park”. Non vi riuscì per il prolungarsi degli impegni sul set di “Jumanji”. Probabilmente fu un bene per il secondo film. Il risultato conseguito dal terzo capitolo non fu esaltante dal punto di vista creativo benché sufficientemente redditizio. “Jurassic Park III” toccò il punto più basso della saga originale e probabilmente fu l'origine delle incertezze che determinarono la sospensione dei progetti successivi fino alla realizzazione del reboot “Jurassic World” nel 2015. Non bastò il ritorno di Sam Neil nei panni di Alan Grant né il cameo di Laura Dern nei panni di Ellie Sattler. Non riuscì nemmeno la “reunion” con il matematico Ian Malcolm. Jeff Goldblum si ruppe una gamba prima delle riprese decretando l’ulteriore impoverimento della pellicola che dovette pesare sulle spalle del solo Sam Neill. Poco coinvolgente risultava la coppia William H. Macy/Téa Leoni. Due autentici pesci fuor d’acqua. Leoni, in particolar modo, fu protagonista di un siparietto involontariamente comico al ritrovamento dell’amante sull'Isla Sorna. La suddetta scena restituiva le incertezze nella conduzione generale di Joe Johnston. La sceneggiatura richiedeva un continuo esercizio di sospensione dell’incredulità per accettare gli stratagemmi adottati per riportare Grant tra i dinosauri del "mondo perduto". Stupiva, e non poco, che un ragazzino fosse sopravvissuto per settimane quando la compagnia dei genitori veniva falcidiata in poche ore. Restava un mistero lo stato del cadavere appeso alle liane vista la fame dello spinosauro e di tutti gli altri lucertoloni, capaci di ingurgitare qualsiasi cosa capitata a tiro. Peggio, ci si domandava come un navigato professore, sopravvissuto ad Isla Nublar, si facesse infinocchiare da due disgraziati che firmavano un assegno scoperto. La trama era ben poca cosa: un telefono satellitare ricoperto da una camionata di letame, un fastidioso ragazzino ed una nuova fascinosa teoria sulla capacità dei velociraptor di comunicare tra loro, teoria testata sul campo con un fischietto riprodotto da una stampante tridimensionale.
“Jurassic Park III” rimaneva deliberatamente in superficie. Non rischiava nulla e abbandonava ogni velleità educativa giustificando, semmai, le scelte genitoriali puerili dei coniugi Kirby. L’unico tema realmente sentito era quello della famiglia e della sua ricomposizione nelle avversità. Un tema davvero abusato in casa Spielberg. Molto poco di fronte alle questioni morali sollevate dai capitoli precedenti. Film da poc-corn e bibita "Jurassic Park III" distribuiva adrenalina in un paio di sequenze lasciando legittimi dubbi sulla possibilità dei pterodattili di sopravvivere in una voliera abbandonata a sé stessa, confermando, inoltre, tutte le perplessità di fronte ad un franchise fossilizzato e spremuto fino all'osso, ormai rinchiuso in una gabbia di topoi ripetitivi e poco originali.
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