Regia di Barry Jenkins vedi scheda film
Il nuovo film Disney, Mufasa – Il re Leone, è il prequel de Il Re Leone del 2019, diretto da Jon Favreau e versione in live action del cartone animato Disney del 1984 diretto da Roger Allers & Rob Minkoff, ed è diretto da Barry Jenkins (Medicine for Melancholy, Moonlight, Se la strada potesse parlare ma anche la serie TV La ferrovia sotterranea) ed è, come la precedente pellicola di Favreau, il trionfo dell’animazione computerizzata.
Parenti serpenti (!?)
Eppure, nonostante tutto, il prequel incentrato sul padre di Simba è un buon film, fatto molto bene e pone anche diversi quesiti e alcuni valori culturali interessanti, seppur edulcorati (!) dal consueto format Disney.
Mufasa ha un’anima propria e un suo valore e la cosa sorprende a fronte del suo predecessore che non era nient’altro che un remake shot-for-shot del cartone ma in CGI, non aggiungendo niente all’originale ma patendo, al contrario, l'eccessivo realismo dalla scena artistica che finiva per appiattire l'espressività del cartone originale.
Tecnicamente lo stesso problema si presenta, però, anche nel film di Jenkins.
Scritto ancora da Jeff Nathanson, già autore de Il Re Leone del 2019, lo sceneggiatore si accolla il non facile compito di raccontare le origini di Mufasa e di impostare quindi le premesse di una storia archetipo del film originale.
Trattandosi di una storia inedita evita di comparare il suo lavoro con qualcosa di già esistente ma deve comunque sottostare a quanto è stato già rivelato nelle precedenti pellicole, apportando però alcune modifiche fondamentali che cambiano completamente l’approccio alla pellicola, che risulta quindi, nonostante le apparenze, qualcosa di completamente nuovo.
Sarò un caso che il cattivo della pellicola sia un leone... bianco?
Il re leone era un film sostanzialmente monarchico, appropriandosi proprio di quell’idea di regalità, predestinazione ed epica con la sua esaltazione della famiglia, del coraggio e dell’assunzione di responsabilità, un “cerchio della vita” dove i figli sono (pre)destinati a prendono il posto dei padri per fare, poi, esattamente le stesse cose promuovendone anche i medesimi valori.
È esattamente l’ideale conservatore delle monarchie europee, dove niente cambia e tutto deve restare uguale a sé stesso in modo che il potere rimanga nelle mani di chi ne ha diritto.
Il nuovo film di Jenkins ribalta, disconoscendolo, questo concetto medioevale di origine europea rigettandone le implicazioni politiche e lo sostituisce con un modello molto più americano.
Jenkins in sostituzione di un Re ideale propone invece un Presidente ideale.
La Disney, in fondo, è lo studio che, probabilmente, più di tutti sta promuovendo (anche in modo enfatico e un po' sgraziato) un “nuovo” modello di società civile e il nuovo film di Jenkins ha proprio l’obiettivo di mostrare come deve essere un vero leader.
La compassione, la capacitò di prendere decisioni in favore soprattutto del prossimo e del bene comune, insieme alla mancanza di egoismo, alla destrezza e alla volontà di fare sempre del proprio meglio in qualsiasi circostanza sono i valori che il popolo americano pretendono infatti da un grande presidente.
Si è quindi passati dall’idea europocentrica, e ormai datata, della predestinazione per diritto divino, quelle delle grandi casate reali e di una nobiltà (illuminata, of course) che si perpetua negli anni attraverso la consanguineità all’ideale del tutto americano dell’autodeterminazione e (soprattutto?) dell’autoaffermazione di sé stessi.
Non a caso il vero erede legittimo al ruolo secondo le tradizioni monarchiche, nel film si dimostra, alla prova dei fatti, completamente inadatto per una tale responsabilità.
A certi ruoli di comando e di leadership ci si deve invece arrivare invece per i propri meriti, non per diritto (divino) ereditario, anche se si è orfani o facenti parte dei livelli più bassi della società perché solo dopo un duro lavoro e il sacrificio possono rendere un individuo degno del ruolo.
"Hai un buon cuore.. Aspetta! Dov'è che ce l'hai, il cuore? A destra?.. Sinistra?"
Mufasa rimane comunque un film fatto molto bene, con un livello di animazione, al solito, straordinario e con un’ottima regia ma anche con troppe canzoni di qualità decisamente scadente a cui si aggiunge un doppiaggio in italiano veramente imbarazzante.
I vari Giorgia, Mengoni ed Elodie saranno infatti anche grandi cantanti ma come attori lasciano invece molto a desiderare.
Anche la scrittura risulta uno dei punti deboli della pellicola.
Tutto accadde troppo in fretta e senza un’adeguata preparazione, con situazioni e umori che cambiano repentinamente da un momento all’altro e in modo totalmente innaturale per il pubblico, e senza che alcun personaggio mostri una vera personalità.
Solo Taka risulta essere una figura complessa, con forti dubbi e conflitti interiori, e l’unico con un arco narrativo completo.
L’eroico Mufasa, al contrario, e davvero troppo perfetto per risultare anche interessante.
Mufasa è inoltre un film di grandi conflitti, aggressione e battaglie corpo a corpo tra famelici leoni ma non si vede una sola goccia di sangue, con gli animali protagonisti che si muovono spesso in modo totalmente disarticolato rispetto alle leggi della fisica.
Non che questo abbia cambiato qualcosa, l’animazione fotorealistica avrebbe comunque annullato nello spettatore qualsiasi genere di riscontro emotivo con i protagonisti.
L’aderenza totale a un eccessivo realismo ha infatti completamente tolto ogni possibilità di avere qualche espressione emotiva, delegando quindi sentimenti ed emozioni, purtroppo, alla parola, spesso rindondante o fin troppo pedante, e alle (brutte) canzoni.
E vedere animali fotorealistici parlare e, peggio ancora, cantare come se niente fosse non è esattamente il massimo del realismo.
Anche la Disney dovrà rendersene conto, prima o poi.
"Un giorno tutto questo (non) sarà tuo"
VOTO: 6
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