Regia di Scott Cooper vedi scheda film
L'anno 1830, l’oscuro teatro in cui The Pale Blue Eye prende vita, non è semplicemente uno sfondo, ma una presenza quasi palpabile, un’epoca intrisa di mistero e superstizione, dove il gotico si intreccia al destino dei protagonisti. Il paesaggio gelido e avvolgente finisce per dominare e pervadere ogni scena, prendendo persino il sopravvento su Augustus Landor, interpretato da Christian Bale, e sul giovane e tormentato Edgar Allan Poe, cui Harry Melling dona uno sguardo febbrile e inquietante. Bale e Melling sono figure umane disperse in un paesaggio che li supera, che li consuma lentamente, quasi fossero anime perdute in cerca di una verità che si dissolve appena raggiunta.
I volti dei personaggi si adattano perfettamente a quell’epoca lontana, come presenze emerse da un dagherrotipo sbiadito, avvolti in un’aria crepuscolare. Eppure, a tratti, sembra che quei volti debbano arrendersi alla volontà di apparire inevitabilmente “gotici,” modellati per aderire a un’idea di mistero quasi scolpita a forza. È come se ogni espressione, ogni movimento fosse intriso di una gravità che non sempre scaturisce dall’interno, ma a volte sembra imposta, come una maschera dall’estetica impeccabile, ma un po’ rigida.
Harry Melling si immerge nell’interpretazione di Edgar Allan Poe con una sensibilità sottile, rendendolo un personaggio che non è solo simbolo di un’epoca, ma anche di una fragilità atemporale. Con le sue parole, intrise di poesia e malinconia, Melling dona a Poe una vulnerabilità tangibile e una timidezza che sfiora il tragico, quasi a suggerire che questa introspezione febbrile sia un preludio alla sua carriera di scrittore. L’interpretazione di Melling regala al giovane Poe un’intensità che riecheggia l’immaginario gotico, senza abbandonarsi mai del tutto a quella “forzatura” di cui i volti talvolta sembrano schiavi. Al contrario, incarna un Poe autentico, distante dall’icona letteraria che il pubblico riconosce, eppure profondamente coerente con il simbolo che sarà.
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