Regia di Sergio Garrone vedi scheda film
Sergio Garrone è il fratello del più noto Riccardo; sceneggiatore e regista, con Django il bastardo porta a termine la sua quarta opera in poco più di un anno, il quarto spaghetti western a uscire fra il 1968 e il 1969. Già il filone è dozzinale di suo; si immagini poi cosa può accadere al poco esperto Garrone, che scrive una sceneggiatura insieme ad Antonio De Teffè (alias Anthony Steffen, interprete traballante e monoespressivo: protagonista, qui) e dirige alcune sequenze con un piglio autoriale - camera mossa a mano, soggettive discutibili - che non si addice per nulla al genere: è un mezzo disastro, anzi forse qualcosina di più di mezzo. Nel cast compaiono anche Paolo Gozlino, Lu Kamante (ovverosia Luciano Rossi) e Rada Rassimov, vale a dire una serie di seconde e terze linee che logicamente fanno quel che possono per consolidare o la tenuta del lavoro o dargli un minimo di tono; la storia sembra infine volersi districare fra narrazione al tempo presente e flashback solamente per poter prolungare un po' di più la durata della pellicola. Per essere un 'bastardo', questo Django è addirittura un agnellino al confronto di molti suoi omonimi contemporanei, in primis il capostipite del film eponimo firmato da Sergio Corbucci nel 1966; curiosità: Teffen/De Teffè sarà protagonista anche di W Django!, di Edoardo Mulargia (1971), una storia completamente diversa ma similmente misera in quanto a mezzi e a idee. 2,5/10.
Vecchio west. Tre ufficiali tradiscono i loro soldati, facendoli massacrare; dopo vari anni, l'unico sopravvissuto di quel battaglione tornerà a far visita ai tre miserabili, gridando vendetta.
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