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Parole e utopia

Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film

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La recensione su Parole e utopia

di Peppe Comune
8 stelle

"Parole e utopia" ripercorre le tappe salienti del magistero teologico di padre Antonio Vieira (1608-97) partendo dal 1663, quando il gesuita (Luis Miguel Cintra) venne condotto a Coimbra davanti al tribunale della Santa Inquisizione per rispondere di gravi accuse contro l'ufficialità della dottrina cattolica. Poi va a ritroso, da quanto giovane (Ricardo Trepa), nel 1623, entra a far parte della Compaglia di Gesù promettendo a se stesso che dedicherà gran parte della sua missione alla causa degli Indios, fino al ritorno definitivo in Brasile, quando ormai vecchio e stanco volle portare a termine la stesura definitiva dei suoi sermoni e concludere l'esistenza nella sua terra d'adozione. Passando per i viaggi e le prediche in tutta Europa, soprattutto in Italia, dove godette della stima incondizionata del Papa e di Cristina regina di Svezia (Leonor Silveira).

 

 

L'imponente figura di Antonio Vieira ("Imperatore della lingua portoghese e maestro della forma e della visione" secondo Fernando Pessoa), le sue battaglie antischiaviste, la difesa dei diritti dei nativi contro la voracità omologatrice dei "conquistadores", i lunghi sermoni, la sua opera di evangelizzazione e il suo fervore cristiano, ci vengono restituiti senza che la matrice "storico-filosofica" che caratterizza il tutto appesantisca più di tanto le oltre due ore di durata del film, con una pulizia stilistica e di linguaggio tanto capace di far emergere il necessario della complessa personalità del padre gesuita, quanto incline a proiettare la tensione morale che ne ha determinato la vita e la dottrina ben oltre il contingente storico rappresentato. Morando Morandini ha parlato dell'incontro tra "il retore più famoso del Seicento e il cineasta più letterario del Novecento". Da questo incontro non poteva che sorgere un opera tutta incentrata sulla parola e, come suggerisce il titolo stesso del film, sulla sua capacità di produrre riflessioni autonome, pensieri in libertà, attraverso l'uso corretto e consapevole che se ne può fare. Certo, siamo immersi nell'atmosfera del Seicento, tra lo splendore delle corti e il grigiore dell'aula di un tribunale ecclesiastico, tra l'ostentato formalismo clericale e la naturale istintività degli Indios, ma più che su un inappuntabile e fedele biografia o ritratto d'epoca, de Oliveira sembra interessato a fare di Antonio Vieira il simbolo stesso del pensiero critico, un faro in grado di illuminare tanto lontano da far emergere per contrasto il contemporaneo degrado culturale, di chiarire la sacralità di pricipi quali l'insinuazione del ragionevole dubbio attraverso l’arte oratoria, il rapporto dialettico tra diverse opzioni dottrinarie, la centralità della ragione contro ogni forma di oscurantismo, in un tempo dominato dalle tendenze omologatrici del pensiero unico. Bella ed emblematica è la sequenza in cui Cristina di Svezia chiede quale atteggiamento sia da preferire rispetto allo stato delle cose, quello del riso adottato da Democrito o quello di Eraclito che piange sulle sciagure del mondo, e a disputarsi la questione in una "sfida" d'altissima retorica sono Padre Jeronimo Cattaneo (Renato De Carmine) e Padre Antonio Vieira. Momenti di cinema che hanno nell’eleganza formale e nel fascino prorompente delle parole  il loro miglior pregio, tutta la loro carica espressiva. Emblemi di una cifra stilistica che caratterizza nel profondo il modo di fare cinema di Manoel de Oliveira, lontano dalle mode e dalle sirene di certa ortodossia cinefila, che si modella attorno a stilemi tipicamente letterari sottraendosi alla necessità di corrispondere a un’estetica dello sguardo generalmente canonizzata.   

 

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