Regia di Nello Rossati vedi scheda film
Il vecchio West è ormai al tramonto, non è più tempo di pistoleri. Da quindici anni Django, dismessi i panni di uomo d'armi e d'azione, vive in un convento del Centroamerica, da umile frate, sotto il nome di Padre Ignacio. Torna però in azione dopo aver appreso che la figlia Marisol, di cui aveva ignorato l'esistenza, è caduta nelle mani di Orlowsky, un nobile europeo giunto in Messico al seguito di Massimiliano D'Asburgo e trasformatosi in despota locale dopo la morte del sovrano austriaco. Orlowsky si muove lungo un fiume a bordo di una nave a vapore corazzata; la sua soldataglia saccheggia le terre circostanti rapendo uomini, da far lavorare come schiavi in una miniera d'argento, e donne, da rivendere ai bordelli. Anche Django, catturato, finisce in miniera; ma riesce a fuggire e, riprese le armi, intraprende, con il solo aiuto di un ragazzo, una guerra personale contro il signorotto. Quest'unico sequel ufficiale di "Django" è stato realizzato ad oltre vent'anni di tempo dal primo, quando il filone degli "spaghetti-western" era ormai esaurito, nell'ottica di un improbabile rilancio del genere. Il risultato dell'operazione non è stato di certo brillante; pubblico e critica si espressero negativamente. Le mie impressioni sono in linea con tali valutazioni. La trama è estremamente lineare: il protagonista, a causa di alcuni torti subiti ad opera di un uomo crudele ed ambizioso, indossa nuovamente i panni del vendicatore e sbaraglia i propri avversari. La sceneggiatura è assolutamente non realistica. Da solo, benchè armato di una mitragliatrice che brandisce con gran disinvoltura, Django elimina decine e decine di nemici. Caduto nelle mani del "cattivo", riesce ad evitare una morte dolorosa ed a sbarazzarsi di Orlowsky, che incredibilmente aveva potuto instaurare una tirannia sanguinaria basata sullo schiavismo nel totale disinteresse delle istituzioni locali. Quasi tutti i personaggi sono caratterizzati con lo "stampino" ... buoni o cattivi, dall'inizio alla fine del racconto. Fa eccezione la Contessa Isabella, una sofisticata nobildonna che non è chiaro cosa faccia nel Messico meridionale, e che, rapita dagli uomini di Orlowsky, dopo un primo momento di disgusto per l'efferatezza del nobilastro europeo, è da lui conquistata grazie ad una ... collezione di farfalle. Sedotta dal potere, Isabella finisce vittima degli intrighi della precedente favorita di Orlowsky, una giovane donna di colore succintamente vestita la quale trasuda ambizione e malvagità da tutti i pori. Django, fino a pochi giorni prima inerme fraticello disgustato dalla violenza, torna ad uccidere di gusto, con ampio utilizzo di iconografia macabra (bare, carri funebri, "morte" armata di falce, etc.) ed in evidente superiorità rispetto ai nemici grazie al possesso della mitragliatrice. Spazzato via l'effimero "principato", l'uomo parte per nuove avventure, abbandonando la figlia appena ritrovata. Dialoghi dozzinali completano il quadro; il protagonista, dal quale ci si aspetta dolore nell'uccidere - vista la sua storia personale - sembra invece quasi divertito. Nonostante l'ambientazione messicana, i panorami ricordano l'umidità delle foreste sudamericane. La parte più interessante del film è l'inizio, il quale mostra due anziani pistoleri affrontarsi in modo da cercare ambedue la morte, consapevoli che il loro tempo è finito; la colonna sonora in stile "Ennio Morricone" che accompagna le sequenze iniziali lascia poi il posto a sonorità più moderne. Il protagonista è interpretato da un Franco Nero ormai imbolsito ed evidentemente poco convinto; gran risalto in varie locandine del film è data alla presenza di Donald Pleasance, che in realtà appare sulla scena in un paio di occasioni e per solo pochi minuti. Ho visto questo film per pura curiosità; le aspettative erano basse ed hanno trovato conferma. Singolare ibrido tra i generi western, avventura ed azione, è un brutto rappresentante di ciascun genere. Non disgusta, ma neppure diverte. Del resto, il progetto non era nato sotto i migliori auspici.
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