Regia di Anthony Ascott (Giuliano Carnimeo) vedi scheda film
Il più grande contributo al cinema italiano dato dalla coppia formata da Bud Spencer e Terence Hill è stato senza dubbio lo sdoganamento della commedia all'interno dei canoni dello spaghetti western: banditi che fanno a scazzottate piuttosto che a revolverate, giochi d'astuzia e battutine che sostituiscono esplosioni e sentenze epiche, personaggi mossi dalla fame più che dalla cupidigia e via dicendo. Ecco che nei primi anni '70 il revival western passa quindi anche per questa strada, con Giuliano Carnimeo (che usava firmarsi, per questo tipo di lavori, con lo pseudonimo Anthony Ascott) impegnato in svariate pellicole a bassissimo budget e idee parimenti latitanti (suo è anche un poker di Sartana, girato sempre in quegli anni); il tributo a Spencer & Hill è d'altronde evidente già il titolo, parodia di Lo chiamavano Trinità. C'è però qualche differenza con la struttura della celebre coppia: qui per esempio il belloccio (George Hilton) è affiancato da un tozzo ingenuo sceriffo (Cris Huerta), anche se in effetti per venire alle mani basta poco anche a questi due; la sceneggiatura di Tito Carpi non è eccelsa e la trama, nella sua semplicità, trova nel suo svolgimento parecchi momenti di fiacca. Verso il finale c'è anche una scena di ballo in costume carnevalesco: forse l'unica all'interno del pur vastissimo genere. Ruoli minori per Umberto D'Orsi, Nello Pazzafini, Sal Borgese, Rosalba Neri; fotografia di Stelvio Massi e musiche di Bruno Nicolai (non male); produce Luciano Martino, in quegli anni parecchio attivo. 2,5/10.
Un simpatico bandito e un candido sceriffo scortano una diligenza carica d'oro; il prezioso bottino risulta però improvvisamente scomparso: comincia una disperata caccia al tesoro.
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