Regia di Pietro Germi vedi scheda film
IL CINEMA AI TEMPI DELLA QUARANTENA
Nella città del ragusano conosciuta come Agramonte, nella famiglia di nobili decaduti dei Cefalù, conosciamo l'ancor bell'uomo quarantenne Ferdinando, detto Fefé, da oltre un decennio sposato con la un tempo avvenente Rosalia, ora pressante moglie baffuta ed invadente, bisognosa dal marito di un affetto che costui non solo non sente più, ma che non è neppure più in grado di dissimulare.
Al contrario Fefé, che ha ancora molti ardori ahimé repressi nel suo corpo di uomo ancor giovane, nutre una insana passione per la giovane cugina sedicenne Angela, che lo ricambia con occhi languidi e sguardi non privi di malizia.
Da quel momento gli unici interessi dell'uomo, altrimenti annoiato e nullafacente addentro a quell'ala di casa nobile rimasta dopo che il padre ha dilapidato il resto con il gioco d'azzardo, si concentreranno nel modo per riuscire legalmente e col minor danno, a liberarsi di una moglie così oppressiva ed invadente, arrivando persino a tentare di rinverdire una di lei appena imbastita vecchia storia d'amore con un maldestro ed ingenuo restauratore.
Finirà con un doppio delitto d'onore, e il nostro Fefè al fine vittorioso e libero a seguito di una breve permanenza in prigione, neo scapolo onorato da contanto atto violento giustificato e ben compreso, e finalmente libero di poter convolare a nozze con la maliziosa ed avvenente nipotina.
All'apice della sua notorietà ed espressività artistica, Pietro Germi pone le basi di una sua fortunata trilogia incentrata, in generale, sulle malsane abitudini del ceto borghese italiano, sull'opportunismo e la falsità di un ceto benpensante che predica bene e razzola male, coadiuvato dalle gesta e dai comportamenti omissivi di una Chiesa connivente e in malafede, e trovando, in questo specifico caso, la sua ragion d'essere e la sua astuzia premeditata addentro ad una arretratezza legislativa che escludeva ogni possibilità di divorzio, tollerando invece episodi di per se ben più efferati e ferini come il delitto d'onore.
Germi utilizza i toni e i ritmi della commedia più scoppiettante, sarcastica e graffiante, per mettere in scena un film che divenne il simbolo ed il rilancio ufficiale della commedia ai livelli del cinema di qualità, sorretto qui anche dalla magistrale vena comico-sarcastica sfoderata da una tronfio e leonino Marcello Mastroianni, che qui, con il personaggio del barone Cefalù, dà vita ad uno dei suoi personaggi cardine della sua fantastica carriera d'attore.
Gli tengono testa in modo magistrale, due straordinari interpreti come Leopoldo Trieste, nel ruolo dell'ingenuo ex amante della moglie, Daniela Rocca, imbruttita oltre ogni kitch immaginabile nel ruolo della invadente e petulante moglie Rosalia, mentre la giovanissima e sensuale, maliziosa Stefania Sandrelli riveste il ruolo cardine e tentatore della bella cugina minorenne Angela.
Come nel successivo Sedotta e abbandonata, anche qui scopriamo Lando Buzzanca, in entrambi i casi coinvolto in un personaggio di contorno, qui dell'eterno promesso sposo della sorella colto perennemente in flagranza di imboscamento dal Fefé per nulla scandalizzato, parte che risulta davvero irresistibile e divertente.
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