Regia di Pietro Germi vedi scheda film
Il barone Fefè (Mastroianni), sposato da anni con una donna poco avvenente , è innamorato, quasi ossessionato, da sua cugina sedicenne (Sandrelli), tanto da arrivare a decidere di sbarazzarsi della moglie, attuando un divorzio alternativo, “all’italiana”…
Capolavoro di Pietro Germi, che fotografa uno spaccato provinciale, quello siciliano, in cui coesistono dinamiche sociali in cui tutto orbita attorno all’atto sessuale: “illibata” e “cornuto” sono i perni attorno a cui ruota il concetto di onore, fondamento imprescindibile in ogni famiglia siciliana che si rispetti. Forte di un’inconfondibile fotografia (firmata da Leonida Barboni e Carlo di Palma), “Divorzio all’italiana” è una commedia che per le questioni trattate e l’importanza sociale delle tematiche prese in carico, non può considerarsi una commedia tout court. Sono gli anni di Sordi, Manfredi, ma soprattutto di Tognazzi e Vianello, che in TV oltre che al cinema, affrontano con spirito goliardico le innumerevoli sfaccettature dell’Italia coeva. Germi, che tecnicamente si esprime in maniera disinibita (tanto per fare un esempio il film è riprodotto quasi completamente in flashback), rispetto al cinema dei generi, sciorina trasversalmente la vicenda di don Fefè, della bella Anna e del paese di Agramonte: quello di Germi è una specie di “neorealismo romanzato”, che pur rientrando nel novero della più fulgida commedia all’italiana, che proprio all’inizio degli anni ’60 vive il suo periodo d’oro, non può prescinde dalla natura fisiologica di una provincia italiana che quasi per definizione è fatta di personaggi dalla caratterizzazione molto spiccata, quasi un tutt’uno col proprio habitat, di cui rappresentano l’humus necessario alla perpetuazione delle dinamiche sociali consolidate.
Grande prova degli attori, inseriti in un cast molto ben congegnato (tanto che il successivo “Sedotta e abbandonata” del 1964 ne mutuerà una buona parte), tra cui spicca un Mastroianni ai limiti della perfezione, capace di mutuare il tic di Germi e farne un tratto distintivo dell’emblematico barone Fefè.
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