Regia di Pietro Germi vedi scheda film
Innamorato della cugina sedicenne (Sandrelli), il barone Ferdinando Cefalù, detto Fefè (Mastroianni) punta sul codice d'onore siciliano per disfarsi dell'asfissiante moglie (Rocca). Così, attira in casa uno spasimante della donna (Trieste) nella speranza di essere cornificato e di potersi così vendicare con l'omicidio della donna che lo ha disonorato. Dopo qualche traversia riesce nel suo scopo.
Il copione di Alfredo Giannetti, Ennio De Concini e Pietro Germi è sopratutto un mordace ritratto antropologico della cultura siciliana, di cui l'onore, l'omertà, il maschismo, l'ipocrisia sono ingredienti imprescindibili che nel film si coniugano alle indiscrezioni, alle spiate dal buco della serratura, alle servette oggetto delle attenzioni erotiche di tutti. Germi polemizza in chiave grottesca sulle assurdità dell'articolo 587 del codice penale, che tocca la questione del delitto d'onore come fosse da incentivare. Il compito di divagare sul registro grottesco è affidato a un Mastroianni che domina la scena conferendo al suo personaggio una lucida cattiveria che lo mette nelle condizioni di orchestrare il tradimento ai suoi danni con fiero distacco.
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