Regia di Anna Foerster vedi scheda film
Lo spirito d’iniziativa è fondamentale, anche quando poi ci si accontenta di copiare da compiti che hanno messo in bacheca voti brillanti, in quanto bisogna sempre possedere i mezzi per farlo con giustezza, con mestiere e un pizzico di furbizia. In casi del genere, si possono anche commettere degli errori, comunque sia senza esagerare e compromettere il risultato finale, ma non devono mancare un po’ di farina del proprio sacco e l’abilità imprescindibile per ideare una configurazione in grado di stare in piedi sulle proprie gambe, limitando sospetti e diffidenze.
In Lou, questo avviene solo in parte minore. Mette in pratica un complesso derivativo, così come dei punti di forza identificabili al primo colpo d’occhio, però quando vorrebbe fare la differenza combina perlopiù delle sciagure, anche di entità non indifferenti.
Stati Uniti, a metà degli anni ottanta. Mentre una tempesta sta per abbattersi su un’isola, Lou (Allison Janney – The west wing, Tonya) è pronta per farla finita, ma stravolge i suoi propositi quando Hannah (Jurnee Smollett – Spiderhead, Birds of prey), la sua vicina di casa, si presenta da lei in lacrime, in cerca di aiuto, dopo aver scoperto che sua figlia è stata rapita dall’ex marito Philip (Logan Marshall-Green – The invitation, Prometheus), che credeva essere morto.
Insieme si mettono sulle sue tracce. Lou dimostra di non essere la donna dimessa che tutti credevano, mentre altri fattori entrano in gioco mutando le carte in tavola.
Prodotto dalla Bad Robot di J.J. Abrams, Lou è l’ennesimo film Netflix che, per un motivo o per l’altro, vaporizza il suo – in questo caso comunque trascurabile - potenziale. Trattasi di un action/thriller di corto respiro che con basilari accorgimenti avrebbe potuto andare in porto senza eccessive complicazioni.
Invece, si tira la zappa sui piedi con imperdonabile dabbenaggine, con una sceneggiatura spregiudicata e zoppicante, che crolla proprio quando vorrebbe siglare la differenza, andando a penalizzare la sua stessa condizione costitutiva.
Di fatto, Lou si affida a uno scenario ostile, che poteva essere maggiormente – e facilmente - accentuato, optando per una visuale femminile che, come da titolo, si avvale innanzitutto di un personaggio tosto, una donna temprata, consumata dalle vicissitudini che l’hanno travolta e resa malvista da tutti (una derivazione di Jamie Lee Curtis in Halloween o Linda Hamilton in Terminator, tanto per dire), una novella Rambo. Già, perché dietro tutte le traversie che attraversano il film, serpeggia un sistema minaccioso che dilania e uccide, che rende difettosi i suoi stessi elementi, creando lupi cattivi e quindi tensioni latenti, pronte a esplodere da un momento all’altro.
Purtroppo, questo know how convenzionale, che avrebbe tuttavia le carte in regola per non sfigurare, è penalizzato da uno script pieno di svarioni e scelte improvvide, che fanno traballare parecchio la situazione, sfiorando addirittura il ridicolo proprio sul più bello.
A prescindere da tutte le - più o meno plausibili - considerazioni, le interpretazioni rimangono un porto sicuro. Allison Janney è un autentico portento, una leadership indiscussa, un’eroina a tutto tondo destinata ad attirare il tifo dello spettatore, Jurnee Smollett ci mette la dedizione necessaria e Logan Marshall-Green definisce abilmente una mela marcia che ha perso ogni contatto con la realtà per colpe - in buona sostanza - non sue.
A conti fatti, Lou ricicla punti cardinali e indizi, passa una mano di vernice su direzionalità e caratteri già visti, inceppandosi quando definisce nel particolare e amplia i cerchi da chiudere, cadendo in contraddizioni e carenze che con un minimo di raziocinio potevano essere tranquillamente ammorbidite, se non proprio del tutto evitate.
Tra guasti che provengono da lontano e una redenzione da conquistare in corner, slot abitudinali e personaggi con la pelle dura, traumi in (ultima) fase di elaborazione e spazi liminali, spine nel fianco e riempimenti inefficaci.
Pasticciato.
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