Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film
Gli scenari di Ozu sono piccoli angoli di mondo, modesti scorci di vita, stretti fra i vicoli della città, con l'orizzonte chiuso dalla facciate delle case. Sono momentanei punti d'arresto nel fluire della vita, lambiti dal passaggio dei treni, come luoghi periferici che guardano sempre verso il centro, in cerca di risposte che non arrivano mai. Sono anonime parti di un tutto sfuggente, che, come la metropoli, è grande e ricco, però non reca alcun conforto. Vano è, infatti, il richiamo della modernità, con il suo invito alla trasgressione che, nei rapporti umani, nulla crea e tutto distrugge, lasciando invariato, sullo sfondo, il profondo stagno del dolore. In questo film l'entità del male si misura sulla quantità di solitudine che esso procura, nell'animo dell'amico malato o nel cuore della moglie tradita. Al silenzio dell'abbandono fa da chiassoso contorno l'effimera allegria del gioco, delle bevute e delle gite in compagnia che, però, riempiono la vita soltanto di un inutile rumore. Questo sembra un film dimesso, dalla trama poco pronunciata, ma solo perché ritrae il breve ed insulso percorso dell'errore: è il racconto dei maldestri primi passi fuori dalla retta via, che fanno subito inciampare e non portano lontano. Difficile è rialzarsi e ritornare indietro: ecco perché, in questa storia, il dialogo (l'elemento fondamentale del cinema di Ozu) serve, più che alla chiarificazione (come ne "Il sapore del riso al tè verde") o al confronto (come in "Crepuscolo di Tokyo"), alla mediazione ed alla persuasione. La parsimonia nell'elaborazione narrativa rispecchia la chiusura affettiva del protagonista, il quale, però, rimane aperto alle superficiali sensazioni della convivialità (gli incontri con gli ex-commilitoni) e della complicità amorosa (la sua avventura extraconiugale). In ciò si scorge quel residuo lumicino di umanità dal quale potrà scaturire la rinascita interiore, con la riscoperta dei veri valori e dei veri sentimenti. "Inizio di primavera" è come un germoglio cinematografico, che traduce l'incertezza della situazione in un bisbiglio, in attesa della rivelazione finale.
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