Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film
Ottimo film, venuto dopo "Il viaggio a Tokyo" (considerato il suo capolavoro), del maestro giapponese Ozu (1903-1963). Vi è espresso, ancora una volta, tutto l'umanitarismo del regista, che sa fondere storia personale e storia nazionale (l'inizio della primavera è tale per la coppia dei protagonisti, ma anche per il Giappone che, a dieci anni di distanza, si sta ancora leccando le ferite della guerra), in un ritratto corale di una generazione che si rimbocca le maniche, pur restando schiava di antichi pregiudizi orientali e di nuovi vizi d'importazione occidentale.
Il protagonista è in realtà una brava persona, molto attaccata agli amici (emozionante la scena della visita al collega morente), che pare distaccato nei confronti della famiglia a causa della tragedia che affligge soprattutto sua moglie. Si muovono intorno all'uomo molte persone, tra colleghi, amici, ex commilitoni, parenti e amiche della moglie, tutti trattati con un grande senso di misurata ironia. Più intimista rispetto al roccioso Kurosawa (anche se "Inizio di primavera" fa venire alla mente certi tratti di "Vivere"), Ozu sa infondere, sopra un palcoscenico che digrada dai palazzoni postbellici - più vicini ai casermoni neorealistici e poi pasoliniani che ai grattacieli da sogno americano - fino agli uffici così angusti, il senso di una moderna tragedia: la silenziosa disperazione riguardo alla fiducia tradita, ai valori da riclassificare, a un senso di comunità più ostentato che sentito, a una serie di ideali irrealizzati. Il regista, comunque, sa farci accettare ogni passaggio, grazie ad una messinscena commossa e commovente che ci si scolpisce dentro.
Un impiegato che sta attraversando una crisi matrimoniale a causa della perdita di un figlio piccolo, cede alla corte di una giovane e un po' fatua collega, soprannominata "il Pesce Rosso". Quando la moglie, una donna di buon senso, scopre la tresca, l'uomo entra in crisi.
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