Regia di Tom Stoppard vedi scheda film
Per me il "Rosencrantz e Guildenstern" è una delle massime vette della cinematografia di sempre. Qui intendo proporre una chiave interpretativa che aiuti a superare l'impressione di gratuita ironia, compiaciuta dissacrazione o eccessivo filosofeggiare che a volte gli vengono imputati.
Il film inizia con due uomini che sul fianco desolato di una montagna avanzano lentamente a cavallo silenziosi. Colpisce il gioco che casualmente si innesta, quello di lanciare in aria una moneta che va a cadere sempre sulla stessa faccia "testa".
Noi vediamo solo un limitato numero di lanci, però a un certo punto li sentiamo osservare che questo inspiegabile evento si è ripetuto ben 79 volte, e più avanti ancora 157 volte. Come dire 2 elevato alla 157 potenza: credo ne risulti un numero maggiore di quello dei singoli atomi presenti nel sistema solare.
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I due parlano poco, ma quando lo fanno dicono cose che fanno pensare.
1 - Qual è la prima cosa che ricordi?
2 - Non lo so più, l'ho dimenticato.
Più avanti qualcosa ricordano:
1 - Ci hanno convocati.
2 - Ci ha svegliati quell'uomo.
1 - Il messaggero.
2 - Esatto.
Poco dopo precisano:
1 - Ci hanno chiamati, per questo siamo qui.
2 - E noi via di corsa per non arrivare troppo tardi.
1 - Troppo tardi per cosa?
2 - Non so, non siamo ancora arrivati.
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A questo punto già mi sento di escludere la versione secondo cui Tom Stoppard avrebbe usato due personaggi minori, strambi e buontemponi per inventarsi una sua originale rilettura dell'Amleto.
Penso, all'opposto, che Tom Stoppard abbia usato un ambito pregnante come quello dell'Amleto per porre domande - domande non affermazioni, non risposte - sul nostro esistere, sul nostro chiederci o non chiederci o rifiutare di chiederci quale ne sia il senso e il fine. Il tutto a partire dall'antinomia fra libero arbitrio e determinismo, dove sembra propendere decisamente per il secondo.
Interessante, alla comparsa del carro/palcoscenico della compagnia di attori il particolare del lancio della moneta che per la prima volta mostra il verso "croce". Forse a dire che il teatro (il cinema, la musica, l'arte tutta) è la forza che può rompere la piattezza e la banalità di un lasciarsi vivere scarsamente consapevole?
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Barlumi di un ricercare o di un interrogarsi intorno a questa consapevolezza compaiono in seguito più volte:
"Ti è mai capitato di non sapere più come si compitano o cosa significano le parole, come "guizzo" o come "causa"? (fantastico che su due esempi uno sia "causa")
"Per tutta la vita si vive così vicino alla verità che alla fine essa diventa come un'ombra permanente all'angolo dell'occhio e quando un evento te la sbatte in faccia è come essere assaliti a tradimento da un essere bizzarro."
"Veniamo alla luce coperti di sangue, strillando, non sapendo che per tutte le direzioni della bussola c'è un solo punto d'arrivo la cui incognita è solo il tempo."
Tutto questo non è Shakespeare, è Tom Stoppard che si interroga nientemeno che sul nostro vivere e non lo fa da filosofo, psicanalista, sacerdote o guru: lo fa da artista, ben attento a bilanciare il suo lavoro. Ecco il perché di tutta l'ironia, la giocosità raffinata, le battute fulminanti, i dialoghi scoppiettanti, il continuo gioco di specchi insieme al surreale e al paradossale sparso a piene mani su quell' "Amleto" che è solo la materia del film.
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Per una recensione meno di parte e più completa basta rivolgersi alle non poche, più che valide, qui presenti.
Ogni tanto bisogna concedersi un lusso: en plein, cinque stelle.
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