Regia di James Gunn vedi scheda film
Seconda pellicola della Fase 5 del Marvel Cinematic Universe e, soprattutto, capitolo conclusivo della trilogia scritta e diretta da James Gunn e quindi fine di un viaggio molto particolare iniziato ormai dieci anni fa, un’epopea spaziale sconclusionata dedicata a un altrettanto scoordinato gruppo di disadattati, reietti, ladri e assassini.
James Gunn, infatti, tornato a lavorare con la Marvel dopo il “fattaccio” dei tweet che gli è costato il provvisorio licenziamento dalla Disney, dice definitivamente addio alla “Casa delle idee” per abbracciare il suo nuovo incarico di amministratore delegato (insieme a Peter Saffran) e nuovo direttore creativo dei rinominari DC Studios della Warner Bros. Discovery.
E il cineasta che esordì (non accreditato) per la Troma di Lloyd Kaufman & Michael Herzsotto con lo scult-movie Tromeo and Juliet e sotto l’ala di Roger Corman sceglie il modo più spettacolare, efficace e soprattutto sincero di dire addio (!?) alla Disney e ai Marvel Studios.
Con il Vol. 3 Gunn si approccia al terzo capitolo della trilogia, generalmente quello più problematico, con la consapevolezza di quanto già fatto in passato e con il coraggio di snaturarlo, almeno in parte, in favore di una maggiore intensità emotiva, non sempre bilanciatissima ma espressa sempre e comunque con sincera onestà.
Nasce da questa esigenza il capitolo finale di una saga pronta ormai a cambiare pelle e a cercare nuove soluzioni, non prima però di aver saluto il pubblico per un’ultima volta e nel modo più emozionante possibile.
Non a caso il Vol. 3 si conclude proprio sulle stesse note (Come and Get Your Love, Redbone 1973) con cui i Marvel Studios ci hanno presentato i Guardiani nel “lontano” 2014 per un commiato che rende giustizia, per tono e stile, a una delle compagini più sorprendenti del cinema popolare dell’ultimo decennio.
Il focus di questo ultimo capitolo è tutto nel drammatico passato di Rocket, inizialmente pensato per uno spin-off su Rocket Racoon & Groot, e rivissuti attraverso una serie di flashback che si rivelano poi il fulcro nella costruzione di un terzo personaggio, l’Alto Evoluzionario, il villain egocentrico e spietato di questo capitolo finale.
Rimangono comunque i concetti di famiglia e appartenenza dei capitoli precedenti, centri emotivi potenti nel racconto di un manipolo di (non) eroi senza patria, soli e alla disperata ricerca di loro stessi, in continua lotta con le proprie imperfezioni.
Ed è di questo che parla il film, di imperfezioni.
E, pur senza eccedere in toni eccessivamente cruenti (pur avvicinandovi abbastanza, con anche momenti da body horror), rimarca la malsana idea dell’imperfezione come avversa e contraria alla vita attraverso un villain che, ossessionato dall’idea di perfezione (e di non accettazione della realtà con la volontà di trasformarla, anche con la forza, per renderla più consona a un proprio ideale) e della creazione di una società utopicamente perfetta (e omologata a preconcetti egocentrici e, in quanto tali, vessatori verso chi non vi aderisce), richiamo allarmistico a una società (la nostra) sempre più destabilizzata dalla ricerca ossessiva dell’eccellenza in ogni cosa (e ad ogni costo) con l’unico risultato di installare un senso di inadeguatezza (e di rigetto?) a chi, per innumerevoli motivi, non vi corrisponde (o non vi può corrispondere).
In fondo chiunque e contraddistinto da difetti o da (sane) imperfezioni incompatibili con un osceno ideale di perfezione, promosso in special modo dai mass media e dalla pubblicità, troppo spesso malsano quando addirittura irrazionale.
E in questo senso l’Alto evoluzionario si rivela la nemesi perfetta per un gruppo formato principalmente da reietti e irregolari.
Non semplicemente un pretestuoso strumento di conflitto e di avventura, quindi, ma rappresentazione metafisica di una delle mentalità più tossiche del nostro tempo e, in generale, della storia del genere umano.
In questo Gunn dimostra di aver ben compreso le potenzialità del fumetto e, in generale, dei personaggi di supereroi, forma d’arte pop che nelle sue interazioni migliori riesce, attraverso allegorie e/o metafore, a raccontarci le meraviglie (e le miserie) del mondo reale.
Insieme alle scenografie di Beth Mickle & Rosemary Brandenburg e ai costumi di Judianna Makovsky, Gunn ci propone quindi una delle pellicole Marvel Studios più cupa e viscerale abbinandone i vari momenti a luoghi ben distinti e caratterizzati, da Ovunque, la nuova/vecchia base dei Guardiani con un’estetica “space decò” alla nuova stazione organica della OrgCorp in perfetto stile Troma fino alla Contro Terra in versione L’Isola del Dottor Moreau di Wells, sposando insieme scene coloratissime ad altre estremamente più oscure e minacciose.
Ad accompagnare le immagini come sempre c’è poi la musica, che siano poi i brani originali composti da John Murphy o l’azzeccatissima nuova tracklist creata da James Gunn per la pellicola, a segnarne puntualmente i momenti più importanti e/o più iconici.
Tra gli interpreti oltre alla consueta banda messa insieme da Gunn fin dal primo Guardiani della Galassia – Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista, Karen Gillan e Vin Diesel & Bradley Cooper (solo in originale) – e a Pom Klementieff debuttano Chukwudi Iwuji (già con Gunn in The Peacemaker) che interpreta il solenne e intimidatorio Alto evoluzionario, perverso scienziato folle sull’orlo dell’instabilità mentale, e il meno convincente Will Poulter nel ruolo di Adam Warlock, personaggio importantissimo nell’Universo Marvel e qui ridotto a un’adolescente confuso e irrequieto, comprimario (e gag ambulante) che esiste soltanto in funzione della trama, comparendo (e scomparendo) al momento opportuno.
Tra gli altri interpreti troviamo nuovamente Sylvester Stallone, Elisabeth Debicki e, tra nuovi/vecchi amici e vari familiari del regista, oltre a Sean Gunn, abbiamo anche Nathan Fillion, Daniela Melchior, Maria Bakalova, Greg Henry, Linda Cardellini, Pete Davidson, Jennifer Holland e il ritorno, in un piccolo cameo, di Michael Rooker.
VOTO: 8
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