Regia di Ridley Scott vedi scheda film
La storia di un generale che diventa uno schiavo, viene venduto come gladiatore, ingaggia una battaglia all’ultimo sangue al Colosseo e si vendica del figlio di un imperatore che gli ha fatto massacrare la famiglia. Una storia che colpisce. Ci sarebbero tutti gli elementi per appassionarsi a questo “Il gladiatore” diretto da Ridley Scott. Uno in particolare: Russell Crowe. L’attore neozelandese, nei panni dell’ispanico generale Massimo, è come circondato da un alone di potenza, è un barbaro del set, una presenza massiccia e magnetica come da tempo non ci capitava di vedere sui palcoscenici di celluloide. Le riserve, invece, sono di tipo estetico. Nelle mani del regista di “Blade Runner”, le sequenze d’azione e tutti quei combattimenti che dovrebbero rappresentare il fulcro spettacolare dell’opera perdono consistenza. Le immagini sono state trattate con il computer, il loro andamento è sincopato, suddiviso in “frame by frame” secondo una tecnica tipica della pubblicità. Così la lotta acquista velocità e accresce l’impatto sull’occhio ma perde qualunque armonia. “Il gladiatore” è un film che crolla nel buco nero delle sue coreografie assenti, inciampa nella totale mancanza di senso plastico (un delitto, con uno come Crowe), confonde lo sguardo e lo stordisce con il fragore dei duelli ma non coinvolge mai. A Scott interessano i controluce, le tendine, le sovrimpressioni e l’immaginario digitale. Non abbiamo niente contro la grafica computerizzata e non ci dispiace la sua Roma cupa, fantascientifica, priva di volumi. Ma quando la macchina da presa scende nell’arena insieme a Massimo non è capace di restare impiantata nella polvere. Questo è grave. In mezzo alle luminescenze di un cinema alogeno giganteggiano però tutti gli attori: grande Joaquin Phoenix (fragile e cattivo), mentre Connie Nielsen (Lucilla) dopo “Mission to Mars” si riconferma interprete affascinante.
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