Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Intorno al 180 d. C. il generale romano Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe), dopo aver sconfitto i barbari in Germania, viene designato dall'imperatore Marco Aurelio (Richard Harris), ormai vecchio e stanco, come suo successore. Ma Commodo (Joaquin Phoenix), figlio di Marco Aurelio, non sembra essere d'accordo. Uccide quindi l'anziano padre e ordina ai suoi uomini di togliere di mezzo il pericoloso rivale Massimo.
Clamoroso successo di pubblico alla sua uscita, vincitore di cinque premi Oscar, "Il gladiatore" è stato il film che ha rilanciato la carriera registica di Ridley Scott, il quale usciva da un decennio costellato da numerosi flop ("1492 - La conquista del paradiso", tanto per citarne uno).
A quanto sembra l'idea ispiratrice proviene dal romanzo "Those about to die" di Daniel Mannix, datato 1958; ma è chiaro che per girare questa pellicola Scott ha tenuto ben presente anche "La caduta dell'Impero romano", kolossal diretto da Anthony Mann nel 1964, in cui i ruoli di Marco Aurelio e Commodo furono ricoperti rispettivamente da Alec Guinness e Cristopher Plummer. Rispetto a quest'ultima pellicola c'è un'impostazione della vicenda indubbiamente diversa, oltre che una veridicità storica minore (anzi delle vere e proprie incongruenze); ma, se è vero che il film di Mann vorrebbe narrare il declino di una civiltà e la decadenza di un popolo, è altrettanto vero che Scott non ha affatto questa pretesa. Il regista britannico lascia infatti sullo sfondo gli avvenimenti storici che caratterizzarono questa fase della civiltà romana per concentrare la sua attenzione sull'aspetto più genuinamente spettacolare che ha da sempre contraddistinto i film di questo tipo.
Il grande merito de "Il gladiatore" è stato infatti quello di aver rinverdito i fasti del genere "peplum" e di aver fatto respirare al pubblico un'epicità che non si aveva più dai tempi di "Ben Hur" e "Spartacus". Che per raggiungere questo fine Scott si sia servito di una sceneggiatura forse un pò semplicistica, specialmente nella contrapposizione tra "buoni" e "cattivi", e che abbia abusato della grafica digitale (ma è comunque nulla in confronto a ciò che è stato fatto successivamente in certi blockbuster di grande successo) è innegabile: ma il coinvolgimento emotivo dello spettatore è garantito, e il risultato finale è di grande impatto.
Russell Crowe, con la sua granitica interpretazione del generale Massimo Decimo Meridio, venne lanciato definitivamente nel firmamento hollywoodiano; certe frasi pronunciate dal suo personaggio sono entrate a ragione nell'immaginario collettivo e sarebbe difficile immaginare un altro attore altrettanto efficace in tale ruolo. Nella parte del folle Commodo abbiamo un ottimo Joaquin Phoenix, anche se Cristopher Plummer rimane probabilmente inarrivabile. La scelta degli attori per i ruoli secondari non poteva essere più azzeccata: il grande Richard Harris nella parte del sapiente Marco Aurelio, Oliver Reed (che morì durante riprese) nel ruolo di Proximo, un vecchio allenatore di gladiatori meno cinico di quanto si possa inizialmente pensare, e ancora Derek Jacobi e Ralf Moeller, che impersonano rispettivamente il senatore Gracco e Hagen, un gladiatore amico di Massimo.
Hans Zimmer non è mai stato un genio, ma qui fa bene il suo lavoro, e realizza una colonna sonora adeguatamente trascinante, in grado di conferire al film una forza epica non indifferente.
Facendo le dovute differenze, si può affermare che "Il gladiatore" risulta in un certo qual modo superiore rispetto al suo progenitore, cioè "La caduta dell'Impero romano", che tra le altre cose non è certo il film più personale di Anthony Mann; e benché la pellicola di Ridley Scott non sia un capolavoro, né un'opera esente da difetti, rimane comunque un film epocale, un cult indiscusso da cui ormai non si può più prescindere, e con cui i registi delle generazioni a venire dovranno necessariamente confrontarsi.
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