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Palimpsest

Regia di Hanna Marjo Västinsalo vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Palimpsest

di darkglobe
9 stelle

Un film in cui ricerca scientifica e forme espressive d’arte riescono a trovare un singolare comun denominatore

Presentato alla sezione Biennale College Cinema della Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia, Palimsest è probabilmente uno dei più bei film prodotti nel 2022.

Parliamo di un film finlandese che vede come regista e autrice Hanna Västinsalo la quale, dopo aver seguito un dottorato in genetica molecolare all'Università di Helsinki, ha studiato regia all'American Film Institute Conservatory di Los Angeles dove ha ottenuto una Borsa di studio della Fondazione Sloan.

Palimsest è uno dei tanti esempi nei quali ricerca scientifica e forme espressive d’arte riescono a trovare un singolare comun denominatore (si pensi, nel campo fotografico, al Chernobyl Herbarium di Anaïs Tondeur). Qui l’ispirazione per la sceneggiatura nasce dagli studi condotti dalla Västinsalo sui telomeri e sull’invecchiamento delle cellule. Ma l’aspetto scientifico è tutto sommato marginale, pur nella sua evidenza, mentre preponderanti appaiono le questioni di bioetica che, giocando sul tema della manipolazione dell’orologio genetico, ne evidenziano le conseguenze dal forte impatto emotivo se non proprio drammatiche, nel gioco un po’ resnaisiano dello scuotimento delle coscienze dello spettatore.

Il palinsesto in letteratura era un manoscritto su cui il testo veniva raschiato via e sovrascritto, spesso riempiendo il vuoto delle interlinee ancora vergini. O un dipinto sul quale se ne sovrapponeva un altro per risparmiare sul costo della tela. Qui rappresenta la possibilità data a due anziani cadenti, impediti su una sedia a rotelle, di poter riscrivere la propria adolescenza, essendosi offerti come volontari per uno studio di terapia genetica di ringiovanimento.

Si tratta di Juhani (Antti Virmavirta), che lascia in ospedale la propria Matilda (Lena Labart) concordando con lei che ritornato giovane potrà dare una mano alla figlia Saara (Mona Kortelampi), e di Tellu (Riitta Avukainen), donna anziana sola e priva ormai di una famiglia alle spalle. Poderoso è l’accumulo di brutte sensazioni suscitate dalle camere ospedaliere, dalla desolante percezione della irreversibilità di una vecchiaia faticosa e dalla totale assenza di empatia dei nuovi medici addetti alla sperimentazione.

I due anziani vengono accolti in clinica nella stessa stanza divenendo amici, nonostante la riservatezza di Juhani, e condividendo un po’ alla volta i sorprendenti effetti della ricerca, fino a riacquisire col tempo energie, sensi ed autonomia motoria.

 

La fuga in auto dalla clinica - Tellu alla guida - per andare a trovare Matilda in ospedale, sempre più prossima alla morte, sancisce definitivamente il legame di amicizia tra i due compagni di viaggio.

Quando Matilda muore, Juhani, giunto al funerale accompagnato da una ringiovanita Tellu (Krista Kosonen), si trova ad affrontare il rifiuto della figlia, incapace di accettare la visione di un padre trentenne (Leo Sjöman), rimproverandolo di non essere deceduto insieme alla madre; registra inoltre il suo mancato riconoscimento da parte del nipote Aleski (Milo Tamminen).

Questo episodio convince Juhani ad interrompere la cura di ringiovanimento ma a seguire comunque i suoi sogni adolescenziali, riempiendo le righe vuote del proprio palinsesto assecondando con decisione i suoi interessi di astrofisica e concentrandosi per il superamento della prova di ammissione universitaria.

Tellu invece vive l’apparente ebrezza della riscoperta dei piaceri, ma col tempo si dimostra una ragazza sola ed alla disperata ricerca di affetto, ferita dal dolore insopportabile della passata giovinezza – la probabile perdita di un figlio non desiderato - che affoga in una degenerazione prevalentemente corporea. Cerca conforto nel suo amico ma decide alla fine di non fermare il ciclo di ringiovanimento, affinché la sperimentazione la conduca fino allo stadio in cui potrà ormai dire addio ai ricordi, raggiungendo piena perdita della propria identità.

La coppia di compagni di viaggio si scinde così tra l’impegno da studente di Juhani, quasi un’elevazione verso l’alto, che è in fondo un disperdersi tra i misteri dell’universo, e la vita sfrenata della ragazza che, in un rapporto ribelle e conflittuale con la propria stessa vita, alterna, in una lunga sequenza di piaceri corporei, lezioni di danza, balli in discoteca, ubriacature e ripetute scopate con sconosciuti, fino ad incontrare un giovane, lei ormai adolescente (Emma Kilpimaa), che le chiederà di essere chiamato papà.

Eppure, in questa progressione legata ad una evoluzione genetica divergente, il rapporto affettivo tra i due protagonisti cresce e si solidifica pur reiventandosi continuamente - e questa è probabilmente la parte più profonda e riuscita del film -. Lui si trasforma da amico di stanza e potenziale compagno in un comprensivo fratello maggiore, poi quasi un padre; lei regredisce mentalmente ma preserva, finché cosciente, l’attitudine alla cura amorevole del proprio compagno di avventura del quale ha pienamente percepito l’amarezza del rifiuto filiale.

 

Ma... non è quello che facciamo sempre? Salvarci da noi stessi.

 

La messa in scena dell’incontro finale di Juhani con la figlia, accompagnato da una Tellu ormai minorenne (Kaisu Mäkelä), è da lezione di cinema. Tellu va in giardino a giocare su un tappeto elastico con il nipote dell’amico, mentre Juhani e Saara siedono agli estremi di un tavolo asettico che segna la distanza affettiva che ha incrinato il rapporto padre-figlia. Saara chiede al padre di non farsi più vedere mentre dal giardino Tellu, rimbalzando al cielo, osserva attraverso un’ampia vetrata il volto all’apparenza impassibile del suo amico, che introietta il dolore per il distacco definitivo dai parenti che ha generato.

Juhani saluta e va via chiedendo a Tellu di seguirla in auto: mentre l’autoradio suona, tra il divertimento dei due, una canzone di Lapsuuden Sankarille su Jurij Gagarin, Juhani confessa a Tellu di aver superato l’esame di ammissione all’università, riempiendo di gioia il volto della piccola adolescente.

Il finale è mesto ma tenero, una conclusione che sembra restituire ad entrambi i protagonisti ciò che la vita passata e presente sembra aver loro depredato.

Palimpsest è sicuramente un film intriso di malinconia sulla possibile tragicità della vita, ma è anche un generoso invito alla ponderazione e al coraggio sulle scelte chiave che potrebbero migliorare per sempre i nostri faticosi percorsi esistenziali: non c’è in qualche modo bisogno di tornare indietro negli anni per inseguire i propri sogni o rimediare ai propri tragici errori. Si scommette, come si diceva, sulla capacità di solleticare varie questioni etiche e si prova a sottolineare quanto le convenzioni sociali siano una gabbia morale all’interno della quale sia possibile arrivare a ripudiare anche i legami di sangue più stretti.
Di grande efficacia anche l'idea di un affetto reciproco che prescinda da tempo, stili di vita, storie personali e rughe sul volto.

Complessa e assai convincente risulta la prova dei due protagonisti, nonostante ci si muova sul percorso impervio di una storia di futuribile verosimiglianza. Pur col ricorso a ben 4 attrici diverse, vi è una sorprendente continuità diegetica nella narrazione dell’evoluzione di Tellu, segno che la selezione giusta per i diversi ruoli ha richiesto un lavoro non indifferente.

Tutte le riprese (fotografia di Henry Dhuy) sfruttano in maniera assai gradevole una messa fuoco con profondità di campo pressocché nulla, siamo dunque ben lontani dal tutto a fuoco a cui le moderne tecnologie digitali ci hanno abituati.

Ogni personaggio ed ogni soggetto - perfino le pozzanghere - sono inquadrati quasi come forme individuali distanziate dal mondo che le circonda: tanto una soluzione stilistica per assecondare l’idea per certi versi onirica della sceneggiatura, quando un modo per amplificare l’aspetto introspettivo del film o ancora ricondurre le immagini in movimento al senso del punctum fotografico barthesiano.

Questo approccio filmico non può non rimandare alle riprese de Il cieco che non voleva vedere Titanic, stessa origine finlandese e contemporaneità del singolare film di Teemu Nikki, con la differenza che quest’ultimo, regista di umili origini, nasce come totale autodidatta ed ha una carriera cinematografica già consolidata rispetto alla Västinsalo.

Ascoltare il film in lingua originale rivela la consuetudine ormai acquisita per le sonorità della lingua finlandese, intrisi come siamo dalla visione delle opere di Kaurismaki.

La colonna sonora è assai essenziale: ad eccezione di Ohita Intro (di Tomi Aholainen ed Heikki Salo eseguita dalla rock band dei Miljoonasade), le musiche sono tutte composte da Jake Kilpiö ed eseguite da RocketScience, J. Brever e JakeinBerlin.

Palimpsest è apparso in Italia grazie alla lodevole iniziativa di MyMovies di offrire la visione in streaming di alcune opere del Festival del Cinema di Venezia del 2022: purtroppo se ne sono poi perse le tracce e - siamo ormai a metà del 2024 – il film non è stato ancora distribuito ufficialmente nelle sale italiane o sui canali nostrani di streaming.

Ho contattato Hanna Västinsalo via mail lo scorso anno per ricevere informazioni sullo stato della distribuzione del film: mi ha gentilmente risposto che la stessa si sarebbe dovuta finalizzare nel 2023 ringraziandomi per i complimenti e dichiarando che “there was a lot of passion that went into the making, and I'm so happy that it comes through on screen”. La pagina instagram per possibili novità è @vastinsalo.

 

 

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