Regia di Soudade Kaadan vedi scheda film
Venezia 79. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
A quasi un anno di distanza dall’inizio della guerra in Ucraina è fin troppo banale constatare come la Blitzkrieg promossa da Putin si sia ridotta ad una guerra di logoramento. Lo sdegno che aveva colpito gli italiani all’invasione russa si è tramutato in rassegnazione e l’onda emotiva propagatasi con lo scoppio dei primi petardi si è consumata nei mesi successivi. Bombardati, giorno dopo giorno, da reportage di guerra e da notizie di dubbia affidabilità, ci siamo voltati dall’altra parte, incapaci di sopportare un conflitto senza fine. Meglio pensare alla finale dei mondiali o al libro del principe Harry che a milioni di persone senza tetto, cibo e riscaldamento.
Intanto che si riducono le collette e le raccolte di viveri è facile paragonare il destino degli ucraini a quello del popolo siriano impegolato da una guerra intestina che continua a produrre vittime da più di un decennio, una guerra che all’inizio ci aveva procurate le stesse sensazioni vissute un anno fa. Benché le agenzie abbiano attribuito all’anno appena trascorso il numero minore di vittime dal 2011 la guerra civile siriana è ancora in corso. Dimenticata o semplicemente messa in secondo piano dal nuovo conflitto e dall’impellente necessità di far quadrare il conto energetico con un budget logorato dall’inflazione. Le sofferenze del popolo ucraino verranno probabilmente dimenticate alla prima escalation di violenza che coinvolga qualche altra parte del mondo in cui l’Occidente abbia interessi economici. Triste ma vero. Tornando alla Siria dove, guarda caso, gli interessi occidentali sembrano essersi affievoliti da quando Usa, Gran Bretagna, Francia e alleati sunniti si sono ritirati, regna ormai il silenzio dell’indifferenza che viene messo a tacere sporadicamente da qualche botto al confine tra Kurdistan siriano e Turchia. Oltre alle riviste di geopolitica e al giornalismo cartaceo il cinema è tra i pochi mezzi a veicolare qualche attenzione sulla guerra civile siriana, una guerra complessa, estenuante che dalla primavera araba di undici anni orsono si è prodotta in un “tutti contro tutti” che al cittadino sensibile e desideroso di informazione provoca una terribile emicrania. Il cinema però riesce ad andare oltre gli schieramenti, e descrivere il quadro sociale tralasciando quello fazioso delle parti in lotta.
In questo contesto si inserisce la regista siriana Soudade Kaadan, tra le poche pervenute in Occidente ad aver raccontato l’odissea del suo popolo. Tramite la macchina da presa Kaadan si è addentrata tra le stanze del privato per poi scivolar via dall’ambiente circoscritto della famiglia e scattare un’istantanea sulla società disfatta dalla guerra. La macchina di Soudade Kaadan ha raccontato la quotidianità del conflitto e quella fragile ma impulsiva dell’adolescenza che non si dà per vinta continuando a sognare un avvenire migliore. Il tutto in appena due film.
Protagonista di “Nezouh – Il buco nel cielo”, opera seconda di Kaadan, è l’adolescente Zeina che, insieme alla madre e al padre, vive a Damasco sotto le bombe. L’appartamento non ha più finestre e l’intimità della famiglia è svelata a chiunque nonostante il maldestro tentativo di Mutaz di appendere coloratissime lenzuola lungo il perimetro. I bombardamenti sulla capitale hanno lasciato a Zeina un enorme buco nel soffitto della camera. Un raggio di luce, penetrando la stanza, mette in risalto i granelli di polvere che fluttuano copiosi illuminando il giaciglio sgualcito. Quel sole accecante la spinge al di fuori dall’ambiente oppressivo in cui il padre testardo ha confinato la famiglia. Zeina utilizza la corda che il giovane Amir le ha calato dal buco. Arrampicandosi sul cordone ombelicale che l’ha legata alla famiglia ora Zeina può mettere la testa fuori dal grembo materno e vedere Damasco per quello che è, affrancandosi, finalmente, dalla tutela del padre. La madre ben presto decide di percorrere gli stessi passi della figlia, emotivamente sfiancata dalla snervante attesa del prossimo bombardamento.
“Nezouh”, arcana e misteriosa parola araba che significa spostamento di “anime, acque e persone”, ci racconta il cammino di una famiglia dal buio dell’insicurezza alla luce della speranza, il viaggio verso un mare nostrum che vorrebbe dire, finalmente, tranquillità e fiducia verso un’esistenza migliore. "Nezouh" ci parla delle donne costrette a prendere su di sé il peso delle decisioni solitamente demandate agli uomini. Nei quartieri rimasti senza di loro le donne devono farsi carico della famiglia e spesso devono scommettere sul futuro. Prima Zeina e poi la madre Hala, che deve lottare contro la propria educazione ed i retaggi della cultura islamica, si affrancano da ogni consuetudine e partono, lasciando indietro l’uomo di casa, alla ricerca di una via di fuga.
La videocamera, che si sposta nella stanza imitando il movimento di un vecchio ventilatore, ci mostra la casa ed il tentativo disperato di difenderla, cosa che accomuna Mutez alla caparbia Oum di "Insyriated" benché i due condividano solo il desiderio cocciuto di rimanere nel proprio appartamento ma non la stessa tempra e carattere.
A contrario, le lenzuola appese alle finestre, gonfie del vento in poppa di una barca che solca le acque in movimento del mare, è il simbolo della resa e se vogliamo della rinascita che antepone la vita alla proprietà, la pelle al mattone.
Soudad Kaadan ha talento nell’usare il mezzo espressivo e trasforma i cieli di Damasco nell’acqua increspata dai cerchi concentrici, formati da un tiro di sassi. Le nuvole bianche si trasformano nella spuma di mare sulla battigia mentre Zeina guarda l'azzurro ed un futuro lontano. Il film è denso di poesia. La mente adolescente e vitale della giovanissima e coraggiosa ragazzina ammanta ogni cosa della favola che sconfigge la follia del conflitto.
Il mare è il sogno ed è la vita a cui le donne anelano con forza e determinazione. La regista ci racconta il loro viaggio per trasformare il sogno in realtà esaltando con tono leggero le relazioni umane a discapito della violenza che ha privato di ogni umanità il popolo damasceno.
"Nezouh" è in parte ispirato alle vicissitudini della regista che l'ha portato a Venezia nella sezione Orizzonti Extra dove ha conquistato il favore del pubblico e il premio di miglior film, un ulteriore riconoscimento da aggiungere al Premio Luigi De Laurentiis ottenuto con la piccola perla "The Day I lost my Shadow" riconosciuto, pochi anni prima, miglior opera prima della Mostra di Venezia.
Film da vedere e autrice da tenere d'occhio nella speranza che in futuro si possa filmare la ricostruzione anziché la disfatta del paese.
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