Regia di Laura Citarella vedi scheda film
Trenque Lauquen è una cittadina argentina disposta tutta attorno a una misteriosa laguna. Laura, che è esperta di fiori e tiene una rubrica alla radio sulle grandi donne della storia, scopre nelle sue ricerche una corrispondenza amorosa nascosta fra i libri della biblioteca di paese, e decide di indagare per scoprire i dettagli sui due amanti impossibili. Questa premessa la introduce ad un viaggio ramificato e imprevedibile fra documenti, fotografie, più storie d’amore di varia natura e una misteriosa creatura che forse si cela nella laguna.
Laura Citarella lavora da anni con Mariano Llinás, e si vede: il suo film-mondo è un abbarbicarsi tanto candido quanto contorto di storie, di storie dentro storie e di racconti intrecciati, un ipertesto impossibile che non solo rappresenta un ritratto inedito della pampa argentina, ma riscopre il piacere gratuito e ludico del racconto, all’infuori dalle potenziali gioie che lo spettatore può trarne (aspettative, logicità sovrastrutturale, ammiccamento cinefilo) se non quelle della semplice ipnosi, o del semplice ammaliamento.
Come nei film di Llinás, si può rintracciare l’origine di questa idea così pura e deliziosa di storie volutamente fittizie ma prive di vezzi metacinematografici e di riferimenti paratestuali dai grandi della Nouvelle Vague nella loro carriera di fine 900. Ma il gusto per il b movie e i budget striminziti al servizio di epiche rurali di simile statura dànno a questa scuola contemporanea di cinema argentino un sapore tutto suo, perfetto e imprevedibile, capace di attraversare uno spettro intero di emozioni risalendo a una percezione del cinema “dal basso”, dall’impiego essenziale del montaggio fino all’utilizzo spiritoso e commovente della musica per fare quella cosa oggi tanto spaventosa: intrattenere. Ma in modo diverso.
Come con qualunque capolavoro, spiegare Trenque Lauquen è impossibile. Non c’è niente di più di quello che si vede e si sente, ma ogni immagine e ogni parola è potenziale scrigno di altre storie, di altri percorsi e di altre prospettive, e non tutti potranno essere mostrati. Nonostante il sapore letterario, Citarella usa al massimo il mezzo cinematografico fra dissolvenze incrociate allucinanti e voice over che si innestano nel racconto in modi curiosi e affabulatori. Alla fine il film dura 4 ore ma poteva durarne 8, come 2, come 16. Il punto è il gusto per la storia, per l’allaccio narrativo e per i modi in cui le storie si influenzano a vicenda (l’aspetto che dà a Citarella una personalità autonoma anche rispetto a Llinás): forse ogni storia non si limita ad aprirne altre, ma è una variante di altre. Forse una storia può crearne un’altra in parallelo. Forse tra una storia e un’altra la membrana che le separa è più che permeabile. Sicuramente, è una storia anche l’atto del raccontare, e l’unico risultato del raccontare non è mai solo il contenuto del racconto. Questo per dire che Trenque Lauquen è soprattutto una doppia storia d’amore (una nella prima parte e una nella seconda), e sono le storie in generale che attivano questi amori. Nessuno si azzarderebbe, nel film, a dare una definizione di amore, ma tramite mille perifrasi fantastiche, fra i generi cinematografici e i colpi di scena, alla fine sembra di riceverla ugualmente, e in quell’amore potremmo potenzialmente essere invischiati anche noi dall’altra parte. Se un’altra parte esiste davvero.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta