Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
VENEZIA 79 - FUORI CONCORSO
Il Festival di Venezia 79 fornisce l’occasione unica di poter visionare Call of God, l’ultimo film del grande regista coreano Kim Ki-duk (scomparso nel 2020).
L’opera è stata portata alla luce dal suo produttore estone che ne ha elaborato tutto il girato, già parzialmente montato, cercando di attenersi a ciò che il cineasta gli confidò in sede di un montaggio definitivo che poi non riuscì a portare a termine.
Una bella ragazza incontra casualmente un avvenente coetaneo che le chiede un’ informazione.
Uno sguardo di intesa spinge entrambi l’uno nelle braccia dell’altro. L’amore a prima vista si sviluppa poi con tutte le sue derivazioni, che spingono entrambi a manifestare forti impeti di gelosia.
Situazioni spiacevoli che danno vita a scontri, liti e violente recriminazioni in grado di minare un affiatamento di coppia che, a prima vista pareva perfetto.
Nell’ultimo film del grande autore Kim Ki-duk, terminato dopo la sua morte, il regista si sbilancia tra realtà e mondo dei sogni, trovando rifugio nella dimensione alternativa ogni volta che la situazione tra i due amanti appassionati finisce per divenire critica.
Un sentimento troppo forte, maturato in così poco tempo, genera nella bella ed apparentemente affiatata e coinvolta giovane coppia, un antitesi di sentimenti ed istinti che vedono i due attrarsi e respingersi nel giro di brevi frazioni di tempo.
Ne conseguono reazioni violente, repentine, poco equilibrate che del resto fanno parte integrante dello stile umorale ed istintivo del regista già nelle sue più significative opere precedenti.
Il produttore estone, che ha accompagnato il film insieme ad una troupe di fedeli collaboratori del maestro coreano, nell’ultimo periodo di vita praticamente esule tra Estonia e Lituania a causa di vicissitudini personali, ha precisato che il lavoro di assemblaggio dell’opera di Kim Ki-duk ha più che altro riguardato certi criteri estetici, come la scelta del bianco e nero per quasi tutta la durata della pellicola, salvo che nel finale in cui il ritorno del colore potrebbe coincidere con il risveglio della protagonista, forte della possibilità di ripartire col il piede giusto nelle scelte da affrontare in ciò che ha già vissuto durante il sonno.
Alla fine della visione, il film pare rivelarci, almeno a tratti, una certa energia istintiva che traspare in molte altre e più compiute opere del maestro.
Ma di fatto è difficile considerare Call of god, girato in lingua rissa e che si avvale pure di due interpreti belli, seducenti e molto presi nei rispettivi ruoli affrontati (Zhanel Sergazina e Abylai Maratov), come un’opera identificativa e perfettamente calzante nella cinematografia del compianto autore di Ferro 3 , La samaritana, Pietà e Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera..
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