Regia di Salvatore Mereu vedi scheda film
Ha un che di Zavattiniano l’ultima fatica di Salvatore Mereu, “Bentu”. Quel stare addosso al protagonista Raffaele (l’indimenticabile Peppeddu Cuccu di “Banditi a Orgosolo”) nei suoi riti quotidiani, nella sua vita monotona e ripetitiva, una vita votata al lavoro e all’attesa. Distese di grano da trebbiare con una trebbiatrice di Sanluri, avvento del mondo moderno per agevolare il lavoro dell’uomo e alleviarne le fatiche. Non per Raffaele, fedele alle antiche usanze. Raccogliere il grano, forse uno dei lavori più faticosi per i contadini, sos massaios. Un rito che nei racconti dei nostri nonni non aveva nulla di romantico o di epico. Mereu – da un racconto di Antonio Cossu – filma il passaggio dall’antico al moderno. Il confronto tra Raffaele e il piccolo Angelino - il quale rappresenta la prima giovinezza trepidante, curiosa, desiderosa di bruciare le tappe - è simbolico, pedagogico nel declamare ossessioni in forma di frase: su (b)entu e sa ebba, il vento e il cavallo. Il primo è il compimento dei frutti che darà il grano, in primis il pane quotidiano. Il cavallo è il desiderio infantile di Angelino di cavalcarlo, un traguardo necessario per il passaggio dal mondo dell’infanzia al mondo degli adulti. La natura selvaggia non conosce regole, così anche l’equino e Raffaele lo sa, intimando puntualmente Angelino che non è ancora maturo per montare un cavallo. Alla morale del racconto Mereu imprime la svolta del suo racconto filmico: l’arrivo del vento ha un suono forte e fastidioso, anticipatore di inquietudine e disgrazia. L’utilizzo tecnico del sonoro quale climax della conclusione spiazza e conquista lo spettatore. Il cerchio si chiude, vince la natura paesaggistica e animale, l’uomo sconfitto muore o si ritira.
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