Regia di Jean-Paul Salomé vedi scheda film
Isabelle Huppert porta i capelli biondi e un chignon, difende i diritti dei lavoratori, vuole smascherare le ipocrisie del mondo del nucleare in Francia, ed è appassionata di gialli. Quando subisce un’aggressione e viene addirittura violata col manico di un coltello, i sospetti ricadono subito su lei stessa come fautrice di uno stupro falso, come per uno sfogo di una mente ossessiva e squilibrata. Saranno i suoi sforzi, e quelli di pochissimi altri, a rivelare il vero dietro indagini superficiali, corruzioni e mazzette.
Della Syndicaliste qualcuno ha detto che sembra l’Erin Brokovich francese; e in effetti la prima parte si presta al parallelo, così come anche al parallelo con un film di due anni fa sempre con Huppert, Les promesses, di Thomas Kruithof, per ritmo e voglia di impiccantire il polar con dilemmi e contraddizioni. Però nella seconda parte nella Syndicaliste si assiste piuttosto a una “correzione” dell’Elle di Verhoeven: sappiamo che lei è innocente, ma ne sospettiamo comunque la perversione e il cinismo. Tanto più che è una “vittima poco credibile”, che reprime qualsiasi emozione compresa quella del terrore e della paura. È dunque su questa dinamica di genere che il film di Jean-Paul Salomé si sofferma (e forse si perde), tenendo sempre un invidiabile e accattivante senso del ritmo.
La Syndicaliste è un film di due ore che non si ferma mai, che si piega e si ripiega e agisce dialetticamente con le aspettative dello spettatore, con un occhio a Chabrol ma anche a Hitchcock, con un gusto feticistico per il ribaltamento e il coup de theatre. Sempre rimanendo splendido cinema per tutti, da grande pubblico. E per questo forse accomodante, forse troppo lungo, forse troppo interessato a far quadrare tutto; ma regie di mestiere così precise e sul pezzo come quella di Salomé sono rarissime anche nel cinema arthouse, e usate con tanta caparbietà nel cinema medio francese (il cinema medio più alto al mondo, probabilmente) restituiscono un piacere quasi afrodisiaco.
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