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When the Waves are Gone

Regia di Lav Diaz vedi scheda film

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La recensione su When the Waves are Gone

di EightAndHalf
7 stelle

Rassegnàti all’idea che Lav Diaz ha perso i suoi ritmi, quelli che una volta facevano dire a Ghezzi delle “enormi masse di tempo che si spostano”, il suo nuovo lavoro (di cui si vocifera da molti anni) è la dimostrazione che l’atmosfera che Diaz dà ai suoi film non è solo data dai pianisequenza e dalle attese. 

When the Waves Are Gone, resoconto comportamentale di due isterici, un ex sergente appena uscito di prigione (Supremo) e il più grande investigatore delle Filippine (Hermes), è immerso in un’atmosfera che più diaziana non si potrebbe. Convinto di non dover perdere affatto il suo afflato politico polemico rispetto a un paese che incoraggia e fomenta la follia - senza cedere mai a quelli che diventerebbero manierismi senza costrutto - racconta una versione grottesca del Conte di Montecristo, girando in una pellicola poi digitalizzata che gli concede una grana e una fotografia per lui molto anomale seppur nel contesto di una cornice rigida e glaciale. Regista di proverbiale fissità, Diaz ha bisogno questa volta di un’immagine che non sia digitale ma che sia un brodo primordiale, in cui la sovraesposizione e l’effetto pellicola bruciata sfondino ulteriormente le sue profondità di campo. Gli effetti sono ambigui, perché corredati da scelte di montaggio ancora più anomale: si contano almeno due scavalcamenti di campo, parecchi dettagli e un’abbacinante soggettiva (una camera a mano non nuova per Diaz, ma qui ad abbellire un inquietante sguardo in camera). 

Il film, meno dilatato dei suoi grandi classici, vanta in ogni caso un respiro enorme, che inscatola due protagonisti violenti e goffi in una cornice apocalittica. E Diaz non rinuncia alle sue ellissi, ma le densifica, riuscendo a equiparare in ogni caso la potenza che lo contraddistingue ad ogni cambio di inquadratura. Anzi, dimostrando una maturità enorme pure con un ritmo così apparentemente rapido (per i suoi standard). Non è vedere la sintesi di Death in the Land of Encantos (per dirne uno che torna alla memoria dello spettatore in quelle terre sconfinate inquadrate con tanta depressione), ma una nuova formula, che accoppia come non mai l’epico e il ridicolo. 

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