Regia di Laura Poitras vedi scheda film
A otto anni di distanza dal premio Oscar vinto con il documentario Citizenfour (sul caso di Edward Snowden), la regista americana Laura Poitras firma un altro film di grande impegno civile che è un'opera caleidoscopica. Sul piano squisitamente narrativo, la si può leggere come l'intreccio tra tre direttrici principali: quella della carriera artistica della fotografa (mediocre) e attivista (pugnace) Nan Goldin, oggetto e soggetto del documentario; quella legata alla morte della sorella maggiore per suicidio, imputabile soprattutto al ruolo sessualmente repressivo avuto dalla madre nella vicenda e, infine, l'aspetto più rilevante: quello della battaglia all'ultimo flash mob (o all'ultimo happening) contro la Purdue Pharma, rea di avere fatto consapevolmente circolare l'ossicodone, un oppiaceo venduto senza neppure il bisogno di ricetta medica e capace di indurre una fortissima dipendenza. I burattinai di questa sconcertante storia sono i membri della famiglia Sackler, che - prosperando sull'ecatombe di morti - ha investito su musei e gallerie d'arte, in una forma ripugnante di moral washing che ha trovato nella Goldin la più indomita avversaria.
Ma c'è anche un secondo modo di guardare il film: quello della forma versus quello del contenuto. Se quest'ultimo - pur essendo sostanzialmente riconducibile a uno dei tanti casi di Davide contro Golia (ma qui Davide ottiene una vittoria di Pirro) - è indubbiamente interessante, la prima non esiste, o quasi. Si tratta, infatti, nient'altro che dell'assemblaggio, in linea con i più consolidati cliché, di voce over, testimonianze, found footage e qualche ripresina realizzata alla bell'e meglio. È proprio questo che rende stupefacente l'assegnazione del massimo alloro al festival di Venezia a nove anni da Sacro Gra di Gianfranco Rosi: unici due casi in cui si è premiato un documentario anziché un film di finzione. Ma il festival del cinema di Venezia, si sa, è una lobby affaristica.
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