Regia di Paul Schrader vedi scheda film
Paul Schrader produce un’altra variazione sul tema dell’uomo dall’oscuro passato, che si rifà una vita ma non riesce a perdonarsi. Un modello di uomo (di recente Hawke e Isaacs, ora Edgerton) che tende pericolosamente all’autodistruzione pur di infliggersi un “meritato” Inferno sulla terra. Se regge l’idea che Master Gardener chiuda un’ideale trilogia iniziata con First Reformed e proseguita con Card Counter, allora regge l’idea che dopo la chiesa e il gioco di carte l’Inferno di questo terzo capitolo sia l’orticoltura, pretesto narrativo per raccontare la dedizione del protagonista a una causa circolare, un po’ vana, una maschera più che una passione. Pretesto anche per intrattenere un rapporto quasi sadiano con la “proprietaria terriera” Sigourney Weaver, che è suo superiore e che ne sfrutta eroticamente il passato da killer neonazi come un grottesco parassita.
Come negli altri due film, anche qui un personaggio giovane rompe la circolarità infernale del protagonista: la giovane Maya, che vorrebbe cancellare i tatuaggi dal corpo di Edgerton ma poi ne sfrutta la brutalità, in un vortice di incoerenza potenzialmente autodistruttiva.
E intanto Schrader costruisce quasi un neo-noir che assomiglia solo al suo cinema, che trasforma il cinema classico in un rito quasi mistico, attraverso cui passano colpa e redenzione. Ma rispetto ai film precedenti forse con più leggerezza, più risate (Weaver è diabolica quanto esilarante), una speranza disperata finale (qui più quieta, più Card Counter che non First Reformed) che fa un buco e straborda nel dramma quasi romantico: se esiste il Male esiste anche l’Amore, forse.
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