Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film
Corpi spezzati, spinti oltre i limiti, nutriti di lipidi e imbottiti di medicinali; menti ossessionate dalla razionalità o dalla fede; stati d'alterazione psichica, ansie placate dal cibo o dal dolore: il cinema di Darren Aronofsky ritorna alle proprie tematiche, condensate nel corpo abnorme e deforme del protagonista, un bradipo in cattività, rinchiuso in una gabbia angusta e maleodorante, che a stento si regge in piedi sulle tozze caviglie da cui a malapena si scorge la presenza del malleolo.
Charlie si muove col deambulatore, come un vecchio decrepito, negli spazi privi di luce della propria casa, angoli remoti della coscienza che è bene chiudere a chiave e lasciare nell'ombra. La sua salute è compromessa da enormi bottiglie di bevande gassate e cestini extra-large di pollo fritto. Duecentocinquanta chili di spazzatura accumulata sui fianchi e sulla pancia ne hanno segnato la funzionalità cardiaca. Pizza e patatine a colazione, sandwiches ripieni di salse, formaggi offerti in banchetto a neuroni sempre più affamati di taglie supersize. Roba che rivolterebbe lo stomaco a chiunque. Tranne che a Charlie il cui corpo brama dopamina che sale e scende finché un nuovo panino ne regola gli equilibri generando effetto ricompensa e buon umore. Charlie vive un cortocircuito emozionale che stordisce i suoi sensi di colpa. I grassi si accumulano riproducendo, come conigli, i cannabinoidi naturalmente presenti nell'organismo. L'esagerata proliferazione manda in tilt il senso di sazietà chiamando a gran voce altri grassi in una spirale mortale. Diciamolo che Darren Aronofsky ci fa pentire di aver cenato prima della proiezione! L'abbuffata lenitiva (o suicida) di Charlie mette la nausea e non ci sono sufficienti endocannabinoidi antiemetici che riportino lo stomaco al momento precedente l'assunzione compulsiva delle immagini di "The Whale". Aronofsky ci inonda con una colata di sequenze unte e degradanti: una "pippa" davanti al computer che sembra una caccia al tesoro compiuta sotto una coperta di pelle flaccida; una doccia che richiede una cabina dalle metrature più generose; una bocca che si muove famelica ingurgitando barrette di cioccolato senza masticare.
"The Whale", però, non è un film sull'obesità. Non cadiamo nel tranello. Il regista ci fa immaginare che sia così. Sparge briciole e merendine qua e là ma non è la condizione fisica del protagonista il nodo da sciogliere. Charlie non è solo un grassone. C'è qualcosa di ben più ripugnante in lui agli occhi del giovane e zelante pastore che, in un giorno di pioggia, si infila in casa sua nel peggiore dei momenti. Charlie non è solo una balena di lardo. Charlie è la balena. È il grande cetaceo inseguito dal vendicativo capitano Achab che spera di placare la sua sete di vendetta estirpando il male insito nella natura, senza intendere di essere egli stesso il male. Il giovane Thomas identifica il ruolo di Charlie leggendo un passo della Bibbia sottolineato dal rimorso. Il peggior male di Charlie non è la putrefazione della carne ma l'essere omosessuale. E come tale va redento, guarito, salvato. Se Charlie è la balena da arpionare il suo ospite indesiderato è Achab, l'angelo purificatore, l'unto dal Signore chiamato a sradicare la gramigna dal campo. Thomas, in nome di Dio, dà la caccia al capodoglio, dà la caccia a Charlie, bisognoso di cure spirituali e di perdono per la sua condizione peccaminosa.
La sessualità invertita rende disgustoso l'uomo agli occhi del missionario, più del suo stato gelatinoso. I suoi peccati sono abominevoli. Ha mancato di fede nel Signore, ha violato le leggi bibliche sulla sodomia, ha distolto un giovane uomo dalla fede che professava portandolo alla concupiscenza e alla morte.
Il film di Aronofsky parte dalla condizione fisica di un uomo brillante e razionale per convogliare lo sguardo verso un equivoco diffuso ossia che la religione avvicini l'uomo al divino. Non è così. È bene scindere la religione, che avvicina gli uomini ad altri uomini che abbracciano il medesimo credo, dalla spiritualità. È quest'ultima a rendere l'uomo leggero e libero dalla zavorra delle umane mancanze. Per Aronofsky la religiosità di Thomas, elitaria e codificata, è un'ostacolo che si frappone tre l'umanità e la divinità. La religione è come il grasso che ancora l'uomo al pavimento allontanandolo da Dio.
Charlie non desidera la salvezza se ad offrirgliela è un uomo di chiesa tanto stolto quanto bigotto. Ma non è certo refrattario alla bellezza: quella del romanzo di Melville, quella di un tema scritto con orgoglioso intelletto, quella del perdono che va cercando inconsciamente nel proprio cuore. La salvezza di Charlie va cercata altrove, lontana dai testi biblici e dalla convenzioni religiose perché la salvezza di Charlie, quella che porta pace e perdono, va cercata nei rapporti umani che ancora riesce a tessere e disfare dal buio del suo appartamento.
La salvezza di Charlie non è il cibo né la preghiera. Charlie ha bisogno di riparare il torto causato alla figlia, abbandonata molti anni prima insieme a sua madre. È questa l'unica condizione per godere ancora dei caldi raggi di sole in una spiaggia assolata e librarsi, finalmente, nella luce di una coscienza ripulita e serena.
"The Whale", allora, non è un film sull'obesità o sull'omosessualità. Nemmeno un film sulla contrapposizione tra fede e razionalità. "The Whale" è un breve viaggio alla ricerca di rapporti da rinsaldare, di scuse da formulare, commiati da prendere, rabbia da neutralizzare e dolori da sciogliere prima che un intenso fascio di luce trasfiguri le nostre opprimenti miserie in gioiosa leggerezza.
Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (VI)
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