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The Whale

Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film

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La recensione su The Whale

di Gangs 87
6 stelle

Charlie soffre di obesità cronica. Professore d’inglese online, cela ai suoi studenti la sua vera forma. Vittima del suo individualismo e in parte della sua insicurezza si rinchiude in un mondo fittizio dal quale sarà difficile uscirne. Quando la morte incombe e l’uomo vorrà riallacciare i rapporti con la figlia adolescente, abbandonata anni prima, si accorgerà che riemergere dall’oscurità in cui si è rifugiato è quasi impossibile.

 

Già con le sue precedenti pellicole Aronofsky ci ha abituato ai toni scuri e cupi, riflessioni dell’animo umano dei protagonisti che mette in scena ma con questa suo ultimo lavoro ha superato ogni più angusta aspettativa. Charlie è il lato estremo, quello più oscuro (forse) del genere umano. Così come era accaduto con Il cigno nero, dove a mostrarsi era l’odio assoluto, con The Whale è l’egoismo a manifestarsi in forma assoluta. È l’ex moglie di Charlie a confessare la farsa del loro matrimonio necessaria solo ad esaudire il desiderio di Charlie (omosessuale) di volere un figlio, così come ben presto si scopre che Charlie abbandona la suddetta famiglia per inseguire il sogno d’amore di un suo studente; sarà proprio la tragica fine di questo amore a condurre l’uomo all’isolamento e al degrado fisico, compiendo così l’ennesimo atto di egoismo.

 

L’egoismo si denota in ogni gesto, in molte delle parole pronunciate da Charlie ma anche negli atteggiamenti della sua amica/infermiera Liz che prima rimprovera Charlie per il suo rifiuto di un ricovero in ospedale e poi gli porta i panini con le polpette appena ne capita l’occasione, scaccia da lui chiunque professi interesse nell’aiutarlo a venire fuori dalla ormai drammatica situazione e si innalza ad unica paladina dell’ingiustizia che ormai condanna l’uomo alla morte imminente.

 

Darren Aronofsky non ha paura di indignare. Costruisce intorno al protagonista un dramma da camera quasi perfetto. In cui l’unico altro protagonista è l’ambiente che lo circonda. Lo mostra, lo descrive, lo lascia annusare. Poco dopo si diventa prima coinquilini poi complici di Charlie, incapaci o più propriamente inconsapevolmente contrari al suo riscatto.

 

Il lavoro di Aronofsky èperò notevolmente imperfetto. Pur avendo trasposto appropriatamente un’ottima pièce teatrale, alcuni luoghi comuni in cui scade finiscono per offuscare il buon lavoro di Samuel D. Hunter. La buona fotografia di Matthew Libatique lascia sguazzare lo spettatore nelle tinte oscure, già ampiamente protagoniste in Madre! e in quelle sfocate apprezzate in Requiem for a Dream, che resta comunque l’opera più angusta del regista americano.

 

Affidandosi alla bravura di Brendan Fraser, The Whale, esplicito fin dal titolo, resta un’eccellente prova d’attore e un buon prodotto cinematografico. La regia un tantino sottotono di Aronofsky è comunque capace di emozionare, proprio perché si serve dei giusti strumenti capaci di muovere i fili giusti e lascia dentro una sensazione di malessere permanente come solo lui e pochi altri sembrano capaci di generare a garanzia di una visione quantomeno emozionale.

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