Regia di Koji Fukada vedi scheda film
Appena uscito da Venezia79 con giudizi moderatamente positivi, questo è il nono film di un regista giapponese sconosciuto da noi, ma apprezzato all'estero. I suoi precedenti otto film non sono mai stati distribuiti in Italia. Quest’ultimo è stato reso visibile in qualche sala esclusivamente nella versione doppiata, distribuita da Teodora film.
La storia che Kòji Fukada intende raccontare è quella di un triangolo amoroso al centro del quale una donna, stroncata dai sensi di colpa per non aver saputo o potuto evitare la morte del suo bambino, si sforza di capire se stessa decidendo infine liberamente del proprio futuro.
Che cosa racconta Il film (per nessuna ragione rivelerò il finale)
Jiro (Kento Nagayama) sta addobbando l’ampio salone della casa in cui abita per festeggiare il compleanno di suo padre, ricco signore all’antica, che non aveva accettato il suo matrimonio con Taeco (Fumino Kimura), giovane donna di modeste origini, con un divorzio alle spalle e un piccolo da allevare.
Il bambino, che si chiamava Keita, aveva vissuto insieme a lei il doloroso e immotivato abbandono di Park (Atom Sunada), il padre coreano che se n’era andato all'improvviso senza spiegazioni.
Ora Keita aveva trovato in Jiro un padre affettuoso; cosicché anche lui aveva predisposto un regalo per il compleanno di quel vecchio signore che non voleva fargli da nonno.
Durante lo svolgersi di quella festa difficile, il piccino si era allontanato ed era annegato travolto dall’acqua nella piccola vasca da bagno che Taeco aveva dimenticato di svuotare.
La cerimonia funebre era stata animata da una sorpresa: si era fatto vivo Park, il coreano, uomo strano, dai modi grossolani, vestito di giallo sgargiante, rabbioso per aver appreso per puro caso dell’incidente mortale a Keita: con un sonoro e plateale ceffone egli aveva colpito la dolente Taeco, che prontamente aveva restituito la sberla, mentre lo sconcerto sdegnato per la profanazione del momento sacro della memoria collettiva dilagava fra i presenti…
Al dolore straziante, in Taeco si era aggiunta l’imbarazzante umiliazione per il comportamento di Park, ciò che accresceva il suo spaesamento fra i presenti e la coscienza, forse ingannevole, della sua estraneità alla famiglia di Jiro, forse allo stesso Jiro, che le era sembrato alquanto tiepido nel consolare la sua solitudine disperata.
L’esperienza della tragedia inevitabilmente avrebbe lasciato più di uno strascico e avrebbe richiesto a tutti un profondo ripensamento dei propri comportamenti in primo luogo a Taeco, che, dilaniata dai sensi di colpa, si era nuovamente avvicinata a Park, mentre Jiro sembrava aver trovato nell’amore per un gattino senza nome una compensazione alla propria, sia pur diversa, solitudine.
____
Che cosa ci comunica il film
Chi ha letto queste mie poche righe può averne ricavato il convincimento che il film sia cupo, drammatico, doloroso.
Eppure, il film non mi ha lasciato questa impressione.
Nato, secondo le dichiarazioni del regista, dalla sua volontà di dare forma cinematografica alle note di una dolce e leggera melodia giapponese, evocativa della primavera, l'opera lascia non solo un grande senso di serenità, ma può riconciliare con la vita dando anche un senso al dolore e alla morte.
Koji Fukada ha innestato in modo originale nella grande tradizione cinematografica del Giappone – sono presenti anche precisi riferimenti al recente Drive My Car, evocando la lingua dei segni e la sua funzione – moltissimi elementi del grande cinema occidentale, rivelando in un’operazione non priva di rischi, grande cultura specifica ed eccezionale sincretismo, simbolicamente rappresentato dall’eterogeneo mescolarsi, nella narrazione, di personaggi che cercano non sempre con successo di comporre le contraddizioni inevitabili in un mondo in rapidissimo movimento.
Ne deriva una sensazione molto spiazzante: per uno spettatore avvertito non è difficile ritrovarvi Godard (Une femme mariée); qualche strizzata d’occhio alle suore svitate di Sister Act 1-2; persino il gatto senza nome di Colazione da Tiffany, elemento risolutivo, anche qui, dell’esile trama del film.
Lo spettatore avvertito, alla fine della visione, si interroga sul film, o meglio, su quel bellissimo mosaico che per due ore gli è passato davanti agli occhi, senza annoiarlo, in cui sono state assemblate, con ineguagliabile grazia, tessere luminosissime e cangianti di varia provenienza, nonché importanti e polisemiche suggestioni culturali antiche e recenti (l’acqua, principalmente).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta