Regia di Florian Zeller vedi scheda film
Venezia 79. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
L'eclettico francese Florian Zeller ci ha preso gusto con il mestiere di regista e così, dopo il successo affatto scontato di "The Father" tratto dall'opera teatrale "Le père", ha prodotto e messo in scena per il grande schermo la seconda pièce appartenente alla trilogia dedicata alla famiglia che egli scrisse e portò in tournée nei teatri francesi tra il 2010 e il 2018. "The son" è tratto da "Le fils" e come il precedente lavoro indaga i rapporti umani tra genitori e figli.
Peter (Hugh Jackman) ha divorziato da Anne (Laura Dern) e si è risposato con la giovane Beth (Vanessa Kirby) con la quale ha avuto un figlio.
Nicholas (Zen McGrath), nato dal primo matrimonio ha preso male il divorzio dei genitori ed il doppio tradimento consumato del padre che ha abbandonato entrambi per una donna più giovane. Quando Anne avverte l'ex marito che il figlio adolescente ha marinato la scuola e si è ritirato in se stesso lancia una richiesta d'aiuto che Peter non può ignorare. Costretto a mettersi in discussione come genitore egli decide di ospitare Nick in seno alla nuova famiglia. Il ragazzo cambia scuola e per un po' tutto si sistema. La realtà, invece, è una bugia che nessuno sembra in grado di carpire, un tizzone ardente che cova sotto la cenere calda.
Florian Zeller ha diretto un dramma con tutti i pregi e i difetti derivanti dalla sua origine teatrale. La maggior parte del film è ambientato in interni (l'abitazioni di Peter su tutto), scelta che accentua la sensazione di soffocamento del giovane Nicholas e l'impotenza dei genitori di fronte ai suoi comportamenti. Limitato lo spazio alle confortevoli dimore della borghesia americana il film esprime il suo massimo potenziale nella recitazione degli attori che occupano Io spazio fisico del set trasformandolo in un ricettacolo di emozioni contrastanti. Jackman, Dern e Kirby sono molto abili nel tradurre lo smarrimento degli adulti di fronte alle avversità che si insinuano nella perfezione dei loro ambienti. La madre di Nicholas si sente messa da parte su tutta la linea, prima dal marito e poi dal figlio, mentre Peter cede alla frustrazione per una ruolo, quello di padre, che non riesce a "recitare" pienamente nonostante l'affetto provato per il ragazzo. Beth svolge la funzione di ponte fintantoché i problemi insormontabili tra padre e figlio la inducono a ricalibrare il proprio apporto alla disputa familiare e abbarbicarsi dietro al suo acuito istinto materno. Bravo il giovane McGrath che da sfogo al malessere del suo personaggio con zelo e senza troppi isterismi. La recitazione è calibrata e i dialoghi asciutti nonostante il tema delicato e una conclusione che inevitabilmente vira verso risvolti cupi e drammatici.
"The son" è, dunque, un drammone piuttosto misurato che trova spazi per investigare la ripetitività e l'ipocrisia di alcuni comportamenti che i figli tendono a demonizzare ma che finiscono per ripetere, forse inconsciamente, quando diventano genitori a loro volta. La sequenza migliore del film è lo scambio di battute, piuttosto teso, tra Peter ed il vecchio padre che gli fa notare tutta l'ipocrisia del suo atteggiamento. Anthony Hopkins, già protagonista in "The Father" si impadronisce dello schermo ed in pochi minuti smonta le velleità recriminatorie del figlio svelandone le ambizioni politiche ed il rancore che egli avrebbe provato nel dovervi rinunciare per accudire il malandato Nicholas. Lo scambio di accuse tra i due uomini tra rivendicazioni al diritto di essere figli con un padre presente e quelle alla carriera lavorativa e al successo personale si scontrano in un duello verbale che mette in luce le debolezze della parte accusatoria. Molto tesa la parte finale con il ricovero e le successive dimissioni in cui l'emotività dei personaggi diventa palpabile.
Grandi interpreti, tensione tangibile ed una rappresentazione realistica degli eventi non riescono tuttavia a cancellare quel senso di perplessità che invade la casa di Peter all'apertura della rastrelliera. Quando in casa c'è un alcolista a farne le spese per prime sono le bottiglie. Una famiglia ricca, istruita e borghese dovrebbe avere le "armi" necessarie per evitare che si consumino certe tragedie. Il pre finale, già svelato da tempo sembra, dunque, piuttosto inverosimile per non dire assurdo. Un espediente spettacolare e rapido per raggiungere il massimo risultato, quanto a pathos, che ha risolto a mera messa in scena il brillante lavoro precedente di caratterizzazione dei personaggi.
La fragilità emotiva che il finale libera nelle lacrime torrenziali del padre è quanto più vicino ad una richiesta di riconciliazione col figlio. Un passaggio emozionante e finalmente liberatorio che abbaglia lo spettatore e lo mette in pace con la figura di Peter.
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