Destinato a scontare la sola colpa di essere venuto alla luce nel decennio più controverso della storia del cinema americano, Operazione diabolica (Seconds), contiene interessanti caratteristiche che lo possono tranquillamente collocare come uno di quegli indispensabili raccordi fra vecchio e nuovo nel quale cogliere elementi che hanno anticipato il linguaggio del cinema degli anni successivi finanche al postmoderno. Un maturo uomo d'affari, Arthur Hamilton entra in contatto con una misteriosa organizzazione che in cambio di denaro gli offre la possibilità di una seconda vita. Tramite un'operazione di chirurgia estetica verrà trasformato completamente mentre si giustificherà la sua scomparsa con una morte accidentale. Seconds non appartiene all'abusato filone cine-letterario della collisione interiore alla scoperta di una doppia personalità, e nemmeno in quello di immedesimazione e di successiva trascendenza nella "vita degli altri" in cui mascherare insoddisfazioni e frustrazioni. In una chiave fantascientifica e irrazionale si affida il cambiamento ad un vero e proprio punto zero pari ad una rinascita artificiosa, nella quale l'uomo può tranquillamente appropriarsi in teoria non solo di una diversa vita ma anche di una nuova coscienza. Una volta realizzata l'operazione diabolica nella quale il grigio Arnold si trasforma nel più aitante e giovane Tony Wilson le cose non andranno proprio come previsto. Se Seconds può essere configurato temporalmente in una società distopica e quanto mai prossima, inserendosi fra l'allentamento delle tensioni socio politiche interne degli Usa alle prese con la guerra fredda mentre già incombono nuovi e più reali orrori, confligge con un desiderio di ristabilimento dell'ordine e della tradizione calato dall'alto da un potere che condizionando anche il cinema si vorrebbe appellare alla supina stabilità delle regole. Il regista J.Frankenheimer sovvertendo tutto quello che concernerà il successivo appiattimento della comunicazione visiva che passerà dal cinema alla televisione soddisfando l'omologazione di massa, si svincola dai parametri e dalla codificazione del cinema convenzionale e modifica il suo registro interno. Non viene proposto un mondo malvagio in alternativa a quello a misura d'uomo a cui poter tendere, esiste una sola forza condizionante che agisce prima e dopo la mutazione del protagonista che si trova immerso in un contesto artificioso e innaturale con la differenza che facendone parte sotto forma del potenzialmente libero Tony Wilson può vedere quello che prima non riusciva. Frankenheimer adopera tutto il suo bagaglio creativo e immaginario per spostare continuamente la rappresentazione dai canoni classici senza tuttavia rifiutarli, passa a riprese originali e dinamiche che spostano il baricentro dello spettatore verso quella trasversalità dell'immagine e di genere che produce un costante effetto di tensione scenica e che come detto rappresenterà le fortune a venire di una parte del cinema.
Il protagonista è anche lontano dalla figura dell'antieroe neo hollywwodiano, cioè del solitario perdente alla ricerca dell'impossibile redenzione contro il sistema. In una delle prime sequenze viene mostrato in un video allo stesso Arthur che non se ne dà spiegazione, un suo presunto atto di violenza, il che concorre a non attribuirgli affatto una certa trasparenza morale mentre simbolicamente sembra un tentativo di celare la sporca coscienza stagnante della classe borghese senza più valori. Nei panni di Tony Wison, interpretato da Rock Hudson, si rivela al mondo come pittore, come se l'arte potesse secondo ciò che si chiede il regista donare una nuova verginità ideale, mentre più realisticamente dimostra uno dei motti di Warhol, cioè che con l'arte in qualche modo te la puoi anche "sfangare" senza troppi problemi (Art is what you can get away with). Frankenheimer ne distrugge ogni possibilità oggettiva, inutile anche alla rimozione interna del personaggio, imprigionato nella sua nuova veste, quella che desiderava, attorniato dallo stesso mondo falso e decadente che non sopportava più. La grande qualità compositiva del regista si realizza in pieno con l'immagine che permette quasi di sorvolare su di un testo che diventa secondario, mette in competizione dinamica quadri scenici del passato, vedasi le inquadrature degli ambienti famigliari rispondenti alle rigide regole classiche che si scontrano con improvvisi primi piani, angolazioni deformanti e continui cambi del punto di ripresa. Tutto legato da un montaggio frenetico nel quale cresce il senso di angoscia e di smarrimento tragico del protagonista, l'amicizia, l'amore, la fuga nella memoria si tradurranno solo nelle parti di una condanna. La natura sinceramente ibrida di Seconds gli negò di essere apprezzato degnamente a Cannes, successivamente rivalutato rappresenta la vetta più alta dell'opera del regista.
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