Regia di Gianni Di Gregorio vedi scheda film
Sfrattato dalla sua casa romana, nella quale era in affitto da molti anni, il settantenne Astolfo (Di Gregorio), professore in pensione, è costretto a riparare nella sua casa avita, nell'alto Lazio. Quando, a distanza di moltissimo tempo, rientra in quella che da cinque secoli fu la gigantesca magione dei suoi antenati, la trova occupata da un inquilino indigente (Alberto Testone, strepitoso), al quale, nel giro di poco, si aggiungono un cuoco con la fedina penale non proprio immacolata (Morra) e un idraulico improvvisato (Lamantia). Il ritorno di Astolfo nel paese natale, tuttavia, non è visto di buon occhio dal prete locale (Cosentino), che gli ha inopinatamente sottratto un intero salone, né tantomeno dal sindaco (Colombari), che gli ha portato via svariati ettari di querceti. Nonostante la nuova sistemazione di Astolfo si profili in maniera decisamente buia (in senso letterale), un raggio di luce arriverà quando nella sua vita entrerà una sua coetanea vedova (Sandrelli), che dovrà vedersela con i malriposti sospetti dei figli.
Al suo quinto film da regista, Gianni Di Gregorio conferma tutte le caratteristiche dei film precedenti, pur senza ritrovare quel guizzo che ci lasciò piacevolmente spiazzati ai tempi di Pranzo di Ferragosto: un cinema da commedia leggera, garbata, immancabilmente impreziosito da comprimari deliziosi e fortemente caratterizzati a cui, a questo giro, si aggiunge una vena anticlericale tutt'altro che dissimulata. Un cinema che - accompagnato dalla colonna sonora intonatissima di Ratchev & Carratello - ha la stessa andatura dinoccolata e lo stesso sorriso contagioso del suo regista/protagonista, un Jacques Tati de noantri che volteggia vaporosamente dalle parti del Rohmer dei racconti delle quattro stagioni.
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