Regia di Andrew Legge vedi scheda film
Come (ripristinando il VE Day e così forse salvando il mondo da una versione peggiore della nostra, ché le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni portate a termine) ci venne risparmiata l’opera omnia di quel fottuto cazzone di Reginald Watson.
Senza ricorrere — “limitandosi” a, “semplicemente”, “risolvere” la questione mettendo in scena una versione casuale di un passato del multi-verso nella quale è stata e/o sarà captata la trasmissione lanciata al “termine” della iper-derivata (A → B → B¹→ B²→ B³→ etc...) linea spazio-temporale narrata e ha “creato” la “nostra”, o una molto simile delle infinite somigliantesi... — allo stato dell’arte rappresentato dall’Hard-SF lucidamente parossistica del “Prime” di Shean Carruth, o, meglio, senza poter riuscire a raggiungerne il livello incarnato, “LOLA” (dopo quelle di Ophüls, Demy, Fassbinder, Luna, Lee, Tykwer, Tavernier, Mendoza...), l’opera prima nel lungometraggio dell’irlandese Andrew Legge (dopo un ventennio di corti e mediometraggi più o meno “in tema” con questo esordio sulla lunga distanza: “1902”, “the Unusual Inventions of Henry Cavendish”, “Fowl”, “the Chronoscope”, “A Kingdom Once Again”, “the Girl with a Mechanical Maiden”), da lui sceneggiata (traendo il copione da un suo soggetto scritto con Jessica ed Henrietta Ashworth) con Angeli Macfarlane, interpretata (nota: nella foto sottostante la didascalia è da invertire) da Emma Appleton (Nancy Spungen in “Pistol”) e Stefanie Martini (Eadith in “the Last Kingdom”), fotografata (B&N, 16/35mm, 4:3) da Oona Menges, montata da Colin Campbell e musicata da Neil Hannon (e David Bowie, oltre che i Kinks, “coverizzati”, e, solo nominati/iconografati, Bob Dylan, Nina Simone, etc…), pur con qualche momento sfilacciato, “vince” e convince, chiosando con un finale struggentemente “shininghiano”.
La pellicola non è propriamente un found footage (ovvero materiale, oltre che inedito, grezzo e non manipolato), ma, come già, ad esempio, “the Bay”, è un lavoro (“home”-movie) fatto e finito (vale a dire redatto ed editato) che riesce sempre a mantenere la continuità della coerenza interna (rimane inspiegato - ma non "inspiegabile" - il come sia finito nella nostra Linea S-T) della propria natura fittizia (ed iperrealistica).
Il film — aggiunto di diritto alla playlist "Libri A(ni)mati / 47 - “BlackOut” di Connie Willis (2010) - la Luce del Mondo (e un Colpo d’Ala)", romanzo che si inserisce, nel contesto della "Oxford Time Travel Series", tra i precedenti "Fire Watch", "DoomsDay Book" e "To Say Nothing of the Dog" e il successivo e diretto completamento del dittico "All Clear" — è disponibile nel catalogo RaiPlay oltre che in quella doppiata anche nell’obbligatoriamente consigliata versione originale sottotitolata: fate girare e, forse così ripristinando il Victory in Europe Day, contribuirete a salvare il mondo e voi stessi da una versione peggiore di quella toccatac’in “sorte” (ché le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni portate a termine), inoltr’e soprattutto risparmiandolo e risparmiandoci dall’opera omnia di quel fottuto cazzone di Reginald Watson.
* * * ½/¾ - 7.25
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