Regia di Ruth Mader vedi scheda film
Dalle parti dei film di Jessica Hausner, Serviam di Ruth Mader è un violento atto d’accusa contro il fondamentalismo religioso, trattato sostanzialmente nella forma di un lavaggio del cervello fatto ai danni di una scolaresca di giovani ragazzine nell’istituto Serviam, come da titolo. Una ragazzina decide di indossare la cintura della penitenza (una sorta di cilicio) su incoraggiamento di una giovane suora, salvo poi prenderci troppo gusto e ferirsi pericolosamente. La suora dovrà mascherare il suo operato, ai danni di altre due bambine che scoprono qualcosa. Il film ha l’atteggiamento (come si è detto hausneriano) di freddezza e calcolo tipico di tutta la scuola austriaca da Haneke in giù (quindi già vetusto di suo), salvo l’utilizzo smodato qui degli archi di Manfred Fessl che rimandano ad atmosfere kubrickiane (penderickiane), un bel po’ esplicito e vicino alla suggestione puramente orrorifica. Questo porta il film sui lidi di un ridicolo volontario incontrollabile, che più si va avanti più è alimentato da goffi tentativi di jump scare (la suora diventa una sorta di orco inquietante che appare e si teletrasporta manco i fantasmi di James Wan) e da situazioni dilatate a dismisura per creare un’improbabile suspense. E se anche i primi minuti sembrano promettere chissà che avventura emotiva (titoli di testa creativi e colorati, di ascendenza hitchcockiana), la sceneggiatura è pigra e la regia inquadra le stanze e i corridoi dell’istituto come a supporto di un catalogo di interior design. Piuttosto imbarazzante.
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