Regia di Mahesh Narayanan vedi scheda film
In India, marito e moglie lavorano nella stessa fabbrica di guanti in lattice, ma vogliono fuggire all’estero per avere una vita migliore. Un filmato che li riprende coinvolti in atti sessuali fuoriesce su WhatsApp e fa il giro fra i colleghi e i loro datori di lavoro. Ma sono davvero loro quelli immortalati nel video? Sembrerebbe un thriller dalla trama, e invece è un dramma serioso come se ne sono visti tanti sul problema sociale del capro espiatorio e della condanna senza prove, che pare partire col dare il quadro di un paese ma che poi prende una piega più intima, che segue il percorso interiore di una donna che da vittima non vuole sfruttare l’occasione ghiotta di diventare carnefice (indiretta). Questo anche attraverso il dramma del marito, prima geloso e poi terribilmente vigliacco, coacervo di modalità maschiliste egoistiche irrimediabilmente interiorizzate. Il problema del film è il formato festivaliero di esportazione che si tiene su un generalismo di comodo, senza veri personaggi e senza tanto meno una regia solida su cui fondare un dramma di tensione; è invece un racconto inerte, su misura della fame occidentale per il quadro sociale esotico di facile comprensione, e con delle idee di messa in scena che non vanno oltre la camera mossa, montaggi interni sempliciotti, fotografia piatta con pretenziosa pretesa di realismo e momenti morti da cui estrarre un’atmosfera inestraibile. Senza contare la detestabile enfasi musicale dei momenti finali, nonché l’incomprensibile conversione della donna, spinta da un’etica solo scritta ma di cui non si respira neanche un attimo la verità.
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