Regia di Anthony Mann vedi scheda film
Secondo me, non è il capolavoro di cui parla la critica. Anthony Mann avrebbe fatto di meglio, negli anni successivi. Qui, nel lontano 1950, ha avuto sicuramente il pregio di affrancarsi dagli ingombranti modelli di Ford e Walsh, senza però riuscire a generare una poetica completamente personale. In questo film, non sono ancora approfondite la nevrosi, la sofferenza, i tormenti psicologici che avrebbero dilaniato i futuri anti-eroi di James Stewart (il quale, a forza di ironia e recitazione sotto le righe, pare non essersi reso conto di trovarsi nel selvaggio west, ma ancora in qualche comodo salotto di Lubitsch o Cukor :-D). Il copione di Borden Chase ha diversi difetti: pone come oggetto del desiderio nonchè motore della vicenda il culto feticista di un prestigioso modello di fucile (aspetto ben poco digeribile da uno spettatore europeo); si sviluppa in maniera macchinosa, squilibrata, sbagliando il dosaggio dei caratteri e ritagliando personaggi poco incisivi (Johnny Il Biondo, quasi una macchietta; Shelley Winters impegnata in uno dei ruoli femminili più insipidi della storia del western); rivela troppo tardi il tipo di legame esistente fra i due antagonisti. Anthony Mann, dal canto suo, nel tentativo di approfondire le psicologie, fatica a tenere alto ritmo e tensione, ma nondimeno ci regala un finale coi fiocchi, fra le rocce, sfruttando welles-iani scorci obloqui e anticipando gli alti esiti di "Lo Sperone Nudo" e "L'Uomo Di Laramie".
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