Regia di Anthony Mann vedi scheda film
Proviamo a dare al tanto ambito fucile modello Winchester '73 un significato sessuale, e precisamente omoerotico. Il fatto che tutti vogliono quel simbolo di potenza virile, di status regale, e che chi lo vuole morbosamente poi faccia pure una brutta fine, è indicativo del fatto che Jimmy Stewart tale potenza virile se l'è guadagnata sul campo, gli altri invece rubano e ammazzano per averla. Nel West, come in tutti i luoghi dell'anima, dove regna la malinconia e la nostalgia per la vita nonostante la si stia vivendo, non c'è posto per le verità, per le scienze certe. Troviamo invece ambiguità, enigma, inquietudine e malinconia. L'ambiguità di un rapporto di fratellanza che sa di biblico; l'enigma della scelta tra il Bene e il Male e la sottile linea che li divide; l'inquietudine di non appartenere a quel mondo ma solo a questo, fatto di cavalli, deserti e fucili; la malinconia che un giorno tutto questo finisca, o peggio ancora, che qualcuno ce lo distrugga, lo corrompa, ce lo porti via. Verrà un treno, di memoria leoniana, a portarcelo via, ma a quell'epoca il percorso di Anthony Mann e di tutti i Jimmy Stewart del West è già scritto e preso a modello. "Winchester '73" è forse il più bel western classico in bianco e nero che l'America abbia partorito, fatta eccezione per i fondamentali fordiani come "Ombre Rosse" e "Sfida Infernale". Tant'è che, sia il riferimento biblico di Caino e Abele (il mito che si trova dappertutto e in tutte le salse), sia la tragedia circolare del fallico fucile ambito da tutti, portano nel West scespiriano di John Ford, la Bibbia senza mediazioni futili. La tragedia, orgoglio manniano, è d'obbligo con un paesaggio così imponente come quello che lo stesso regista ha saputo fotografare e riportare sulla pellicola in tutti i suoi western. L'Anthony Mann westerner associa la dicotomia grande/piccolo a quella di bene/male. Ecco che la natura, in linea diretta con Dio, è il Bene, teatro benigno delle umane passioni care al regista, mentre l'uomo è piccolo e meschino, destinato a corrompersi. La grande interpretazione di Jimmy Stewart ne è la prova. L'attore americano è stato uno dei pochi a lavorare regolarmente per i più grandi registi dell'epoca. Dapprima con Frank Capra è il rassicurante americano medio, poi passa alle inquietudini del suo grande mentore Alfred Hitchcock, inquietudini che saranno il suo passaporto per irrompere nel western maggiorenne di Anthony Mann e di John Ford che, a fine carriera lo vorrà sostituire giustamente a John Wayne. L'elemento omoerotico pertanto, è qui rappresentato non come male pericoloso per l'uomo, ma come un potenziale umano benevolo che potrà virare al male se l'uomo lo vorrà. Ed è quello che fanno tutti, dall'antologico John McIntire, al grintoso Rock Hudson allora ancora sconosciuto (come la comparsa Tony Curtis), come lo spavaldo Johnny il Biondino e soprattutto come il fratello cattivo di Stewart: Dakota Brown. Questi infatti non riesce a vivere l'affetto col fratello come amore vorrebbe, e mette un fucile tra loro due. Una storia vecchia come il mondo: due uomini uno contro l'altro sono il paradigma di una rivalità sessuale, virile e fallica mai risolta, soprattutto se fratelli o migliori amici.
Ma il film, tolti tutti i sottotesti che lo fanno grande, è un gioiello di spettacolo western, ci sono infatti molti dei motivi più rappresentativi del genere: la gara di tiro al bersaglio, la partita a poker, l'attacco degli indiani, l'assedio dei banditi, la rapina alla banca, l'inseguimento in mezzo al deserto con i cactus a fare da croci, tombe e tutto il resto, e infine il duello-sparatoria finale su un'altura che sa di biblico. La salita alla roccia, intervallata dagli spari dei due antagonisti, porta i nostri Caino e Abele ad elevarsi a miti tragici nell'ultimo tentativo di avvicinarsi a Dio. E così saranno. Il tutto contrappuntato da un bianco e nero affascinante e da una regia che potenzia i luoghi e i corpi nei luoghi come pochi sanno fare.
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