Regia di René Clair vedi scheda film
Il motivetto di Sous les toits de Paris è un inno popolare alle piccole gioie e alle piccole miserie che ci accomunano tutti, giovani e vecchi, sognatori e disillusi, onesti cittadini e malfattori. La canzone intonata dal coro dei passanti è una ballata della vita semplice, che si lascia cullare dal tempo ed accarezzare dall’amore, e si abbandona, senza assurde pretese né eccessive ambizioni, al confortante abbraccio della normalità. Sullo sfondo rimane il tourbillon della metropoli, che è una giostra in cui gli opposti si porgono la mano, tanto che la fortuna e la malasorte, la guerra e la pace, il coraggio e la vigliaccheria sono solo condizioni momentanee. D’altronde la ville lumière è troppo animata e scenografica per non essere una sorta di teatro, in cui, per stare al gioco, occorre cambiare continuamente ruolo, mescolandosi agli altri secondo le occasioni e l’estro del momento. Così anche il mélo nasce per caso, in maniera poeticamente improbabile e romanticamente sgangherata, tra bohème e cialtroneria, dando vita ad un romanzo rosa intessuto di eroismo improvvisato e sentimento vagabondo. In questo senso, l’anima dei bassifondi parigini è polvere di strada odorosa di emozioni, che si posa sui cuori rendendoli al contempo duri e titubanti. Fragilità e transitorietà sono le amare sfumature di questo noir dei poveri, le cui comprensibili debolezze striano lo squallore dell’ambiente con un tenero e compassionevole incanto. Per Albert e Pola, credere nell’amore, nell’amicizia e nella complicità, più che un dovere morale, è una necessità di sopravvivenza: la lealtà è l’unico appiglio in un contesto ambiguo e incerto, in cui si rischia costantemente di naufragare. René Clair ci rivela serenamente, e senza reticenze, i tratti inquieti di un mondo che, per sua natura, è luogo di clandestinità, sospetti e tradimenti, ma che egli inquadra dalla fiduciosa prospettiva di chi, nonostante tutto, cerca di far fruttare al meglio quello scampolo di bene che gli è concesso.
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