Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Film drammatico, nel senso che mette drammaticamente a nudo la fine intellettuale, registica e soprattutto attoriale di Nanni Moretti, che recita in modo monotono, citando i fasti passati tramite tic, tormentoni ed esternazioni che non hanno alcun legame con la trama, ammiccando al pubblico "di una volta". Ciò che non è ripetitivo è squallido.
Mi ricordo. Mi ricordo. Mi ricordo. C’era, anzi ci fu, un tempo in cui Nanni Moretti, con le sue idiosincrasie (le ciabatte!), le sue fissazioni (ma come parla?!), la sua passione politica, i suoi tormentoni (mi ricordo!), le sue espressioni stralunate, mi entusiasmava. Come dichiarava di se stesso in Sogni d’oro, Nanni era Nanni e come lui non c’era nessuno.
Quella fase si è socchiusa con Palombella rossa, poi chiusa definitivamente con Caro diario e Aprile, che hanno segnato l’abbandono definitivo dell’alter ego Michele Apicella, e il passaggio a un autobiografismo totale, dichiarato e quasi documentaristico. Una sorta di catarsi cui è seguita un’apparente emancipazione da sé, per volgersi a vicende “altrui”. Mia madre è stata l’eccezione, con una ritrovata impronta fortemente autoreferenziale. Eppure, da Habemus papam in poi, qualcosa si è perso definitivamente: la genuinità, l’originalità, l’innovatività dei soggetti e dei personaggi. Tutto ciò è andato appiattendosi, fino a sfociare in un cinema che di morettiano aveva soltanto vaghi echi.
Forse a causa delle critiche del suo pubblico, oppure per una esigenza interiore, o magari per una somma di tutto ciò, con Il sol dell’avvenire Nanni Moretti recupera la stagione dei fasti che lo hanno innalzato al di sopra dei suoi colleghi, o, perlomeno, posto a parte rispetto a tutti gli altri. Ma sono trascorsi 40 anni, e tutto è cambiato, compreso Nanni Moretti. Non si può esprimere un giudizio su quest’opera prescindendo dalla prestazione attoriale del protagonista: non mi risulta che sia mai stato considerato un grande attore, e in effetti i film cui ha preso parte senza esserne regista sono ben pochi. Ciononostante, l’ho personalmente apprezzato moltissimo per il piglio con il quale dipingeva i propri personaggi, sicuramente soccorso dalla profonda partecipazione e immedesimazione. Il Giovanni che ci si presenta qui, però, sembra cotto e stracotto: lo sguardo perennemente sbarrato, tono completamente monocorde e volume della voce che rasenta (o supera) la soglia delle urla. Praticamente ogni scena è affrontata con la medesima (in)espressività verbale e visiva. La trama quasi non esiste: sembra un raffazzonamento frettoloso di una serie di sue opere precedenti. Prendi i tormentoni di Bianca, La messa è finita e Palombella rossa, frullali e mischiali con un po’ de Il Caimano e di Aprile… et voilà: la ricetta è servita. Mancano raccordi narrativi, coinvolgimento, interesse e perfino morale: viviamo in una democratica dittatura nazionale e sovranazionale (europea), e qui stiamo ancora a parlare dell’invenzione massonica del comunismo? Ritenevo Nanni Moretti un intellettuale, ma se a 70 anni, dopo essere stato anche ai margini della politica per anni, non ha ancora appurato che Lenin era un massone, come Karl Marx & co., a questo punto temo che camperà per tutto il resto della sua vita con queste stupide illusioni politiche. A riprova di quanto sopra, lo vediamo boicottare (giustamente) Netflix, ma propagandare i beoti monopattini elettrici, che hanno sostituito la storica vespa. Sarebbe sufficiente questa banale constatazione, per farci rendere conto della totale pochezza e incapacità critica odierne del regista. Caro Nanni, anche io detesto le ciabatte, ma detesto ancora di più i beoni che sfrecciano a 50 o 100 km/h con dei trabiccoli privi di qualsivoglia protezione, dotati di batterie fatte di un materiale che a contatto con l’acqua esplode, inquinanti peggio di qualsiasi veicolo a motore, ma spacciati per ecologici ed ecologisti da una masnada di massoni che possiedono sia le compagnie petrolifere che le fabbriche di veicoli “green” e prendono in giro il mondo da sempre, illudendoci che esistano cose come “destra” e “sinistra”, mentre stanno dietro (e sopra) entrambe.
L’opera ha il fiato cortissimo, e la durata, assolutamente non in linea con le opere più riuscite dell’autore, lo dimostra: non c’è niente da dire, salvo scimmiottare se stesso, nella vana speranza di rinverdire i fasti di tempi che – ora lo sappiamo per certo – non torneranno più. Dopo aver letto tante critiche positive, mi aspettavo un ritorno in grande stile al morettismo, e non questa messinscena patetica condotta da chi, attorialmente, è impresentabile, e autorialmente ridotto al “copia e incolla” di se stesso. Caro Nanni, non stupirti se c’è chi non sa che esisteva il comunismo in Italia, o se le persone si cavano gli occhi spendendo le proprie vite davanti a Netflix: più che gli “ignoranti”, sono proprio quelli che presumevano di essere intelligenti e colti e dotti ad aver provocato questo disfacimento. I moralisti che si fanno lavare il cervello con discorsi ambientalisti ridicoli e infami, i creduloni che si sono fatti imbavagliare da un banchiere massone e inoculare veleni progettati e resi obbligatori dalla stessa cricca massonica. Quelli che boicottano Netflix e non sanno che l’eminenza grigia del pianeta, alias Black Rock, è dentro a Telecom come alle Poste Italiane (di nome!), alle Ferrovie come all’Enel, Stellantis come Volkswagen, Lufthansa come Vodafone, Airbnb come Uber, Amazon come Walmart… e chi più ne ha più ne metta. Mi perdonerete, quindi, se affermo che oggi parlare del comunismo degli anni ’50 o è l’ennesima distrazione, o è sintomo di totale e irrimediabile dabbenaggine.
Quanto alle vicende umane del film, siamo francamente arcistufi di vedere Margherita Buy mollare Nanni Moretti, in persona, o impersonato dai vari Silvio Orlando di turno: esiste la psicoterapia (per chi ci crede!) e la cinematografia… sarebbe ora di smetterla di confondere le due cose.
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