Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Abbiamo 70 anni (io li ho appena compiuti, lui li compie ad agosto). Ci conosciamo dal 1976, quando mi prestò la Canon super8 muta con cui aveva girato "Io sono un autarchico", gelosamente conservata da Andrea Parlatore, ai tempi assistente di Nanni, per permettermi di concludere il mio super8 di esordio "L'amore è un salto di qualità".
Abbiamo 70 anni (io li ho appena compiuti, lui li compie ad agosto). Ci conosciamo dal 1976, quando mi prestò la Canon super8 muta con cui aveva girato "Io sono un autarchico", gelosamente conservata da Andrea Parlatore, ai tempi assistente di Nanni, per permettermi di concludere il mio super8 di esordio "L'amore è un salto di qualità". Nanni non mi aveva detto però che la cinepresa era caduta, e che la parallasse s'era spostata, quindi quello che io vedevo nel mirino non corrispondeva a quello che rimaneva impresso sulla pellicola. Mi ritrovai quindi un film con gran parte delle inquadrature eccentriche, che giustificai come scelte estetiche, come un costruttivista russo. Candidamente Nanni, quando portai a vedere il corto, appena ultimato, a Via San Tommaso d'Aquino, casa dei suoi prospiciente il Tribunale a Piazza Clodio, mi disse che gli piaceva, però non capiva perché in molte inquadrature in Piazza di Spagna i due protagonisti, Cristina Ruiz e Daniele Formica, guardassero altrove... Ritrovai Nanni, io in qualità di direttore dell'Officina Filmclub, quando per primi fummo scelti da lui per visionare "Io sono un autarchico", in vista di una programmazione. Lo vidi e lo apprezzai sullo schermo di via Benaco, insieme ai quattro altri soci, Cristina Torelli, Paolo Luciani, e i compianti Ciro Giorgini e Fabrizio Grana. Tutti e quattro avevano forti riserve, dovute allo stile frammentario e artigianale (derivante dalla scarsa lunghezza delle bobine super8), dalla fissità delle inquadrature (forse dovuta alla "timidezza" espressiva di Nanni, che non si avventurava in movimenti di macchina, di cui allora non capiva ancora il significato); stile e inquadrature che diventarono di lì a breve una sua cifra stilistica personalissima. A me il film era piaciuto, sinceramente, più per i contenuti caustici, per le frasi lapidarie, l'autoironia sferzante, il disegno senza pietismi di una generazione incerta. Mi imposi ai miei soci e chiamai Nanni, proponendogli la prima e la tenitura del film per un tot di giorni. Nanni mi chiese a bruciapelo: "Vi è piaciuto il film?" io gli risposi che mi era piaciuto molto. Lui incalzò: "Ma è piaciuto a tutti, all'unanimità?". Io ebbi un'esitazione, fatale. Dissi che gli altri soci avevano delle riserve, ma che sì, tutti avevano deciso di programmarlo. Lapidariamente Nanni concluse: "Allora non ve lo do!" Poi la Storia è nota, Nanni lo portò al Filmstudio, che lo programmò per mesi, diventando sul passaparola un successo incredibile che ha determinato il prosieguo fulgido della sua carriera. Nanni si ricordò di nuovo di me, sempre in modo caustico, nel successivo "Ecce Bombo", in quella scena in cui il gruppetto al bar, compreso Nanni, decide di andare al "Montesacro Alto, in via Emilio Praga 47" e finisce in un'appartamento in penombra, dove una famiglia sta cenando. Il cineclub in questione l'avevo fondato un'annetto prima, trasformando ex-novo una scuola di danza in un cinema, ma senza avere il permesso dal condominio di mettere la benché minima insegna esterna luminosa. Quindi era di assai difficile individuazione in quel quartiere periferico, da cui derivava lo smarrimento dei ragazzi di Nanni alla ricerca del cinema perduto. Mi sono permesso questa lunga introduzione autoreferenziale, "andando fuori tema", perché sono in casa (meglio, nella casella) di chi ha trasformato il narcisismo, la danza intorno al proprio ombelico, il parlare solo di qualcosa e qualcuno che si conosce a fondo, cioè se stessi, me stesso, in un' arte dell'interpretazione della realtà, che procede inossidabile da 47 anni fino ad oggi. La vera ragione di questa longevità è l'assoluta consapevolezza di Nanni nell'usare il narcisismo come chiave interpretativa, e in questo io mi riconosco, mi identifico, in maniera commovente e febbrile, ora come allora e lungo tutti questi anni. I brevi ricordi personali del rapporto tra Nanni e me, in cui in maniera così aguzza lui si è espresso, imprimendosi nella mia mente indelebili, io li ritrovo smaltati e smaglianti in "Il sol dell'avvenire", che è come un "Catalogo degli oggetti introvabili" di Carelman di tutte, proprio tutte le passioni, le idiosincrasie, le sottolineature, le puntualizzazioni, le frasi epocali (senza coscienza di esserlo), il cambio continuo di stile e di ritmo, come in una jam session di free jazz, che Nanni ha dipanato in "13 film" in 47 anni. Il percorso lo abbiamo fatto procedendo paralleli in tutti questi anni, con destini e risultati con tutta evidenza diversi, ma tutto quello che vibra e fa vibrare il film, in conseguenza degli accadimenti che ne determinano il percorso, ci accomuna profondamente, sia le vampate di gioia, che soprattutto le disillusioni: la militanza politica, il privato e il politico ("cotta continua" c'era scritto sopra il portone della scuola media di Sacrofano), i cineclub e i teatri d'avanguardia, i compagni che sbagliano e i compagni che si annientano, e sento questa comunanza, come diceva Attilio del figlio Bernardo Bertolucci, "la sua è una timidezza che passerà come una malattia della prima infanzia, lasciando piccole cicatrici rosate". Sottopelle le sequenze sullo schermo mi hanno riempito di cicatrici non più dolorose, ma squarci sottili ad aprire reintepretazioni della mia vita, così simile ma così diversa. Ho sentito ieri sera Nanni, ospite di Marco Da Milano, dire che i film nel film sono quattro, non tre come sosteneva il giornalista, e aggiungendo puntigliosamente il film che avrebbe voluto fare, tratto da Il Nuotatore di John Cheever, di un uomo che attraversa tutta la contea a nuoto, passando da una piscina all'altra. film davvero affascinante, ma dice Nanni, che l'avrebbe potuto fare quando era magro, anni fa (ai tempi di Palombella Rossa). Io ne ho contati sette di film, Nanni, e te li elenco altrettanto puntigliosamente: C'è il contenitore principale, (1) la storia di te regista, Margherita produttrice, la crisi del vostro rapporto, le difficoltà produttive, in bilico tra l'autarchia di una volta e la standardizzazione delle piattaforme da "190 paesi, 190 paesi"; c'è il film (2) che stai iniziando sul peccato originale del 1956, la mancata emancipazione del PCI dall'Unione Sovietica dopo l'invasione dei carri armati a Budapest, un film che si mostra magnifico e tremendamente interessante, più di "Je vous presènte Pamela" di Truffaut in "Effetto Notte", perché parla a noi tuoi coetanei di una ferita non rimarginata nella coscienza di ciascuno "di sinistra" di allora e forse di oggi; c'è (3) la Storia che si fa con i "se" del finale alternativo al suicidio di Silvio, con le magnifiche rotative che stampano la Storia come tutti avremmo voluto che fosse "la via italiana al Socialismo"; c'è (4) il film con i "baci" che non hai mai avuto il coraggio di fare, e che Barbora ti costringe a fare, perché imprigionato nella tua ritrosia e timidezza congenita, da cui sei stato strappato a viva forza solo in Caos Calmo e Tre Piani; c'è (5 - il film con le canzoni italiane) la storia d'amore di due adolescenti nata in un cinema dove si proietta "La dolce vita" con la mancata agnizione tra Mastroianni e Valeria Ciangottini nel finale sulla spiaggia, accompagnata da Luigi Tenco, che si conclude nel ballo di tutta la troupe davanti al prato del picnic dove i figli della coppia danzano come dervisci rotanti, al ritmo di Battiato, altro film che vorremmo assolutamente che tu realizzassi; c'è un secondo film (6) immaginato e desiderato(e purtroppo già realizzato da altri - Frank Perry con Burt Lancaster), quello tratto da Il Nuotatore di Cheever; e infine c'è il film (7) "tarantiniano" con gli spari granguignoleschi, i fiotti di sangue, i "bambini sciolti nell'acido", che tua moglie sta producendo e che tu interrompi per otto ore, perché "due o tre princìpi bisognerà pur averli", in una scena in cui raggiungi livelli di profondità assoluta, quando racconti la difficoltà di uccidere (al quarto tentativo) che Kieslowski racconta in "Breve film sull'uccidere", contrapposta alla facilità da videogame dello sparo con cui si dovrebbe concludere l'opera seconda del giovane regista di "Orchi". E questi sette film non fanno che inserire "Il Sol dell'avvenire", nell'Universo Multiverso tanto in auge oggi, vedi il multiOscar "Everything, Everywhere All at Once" dei Daniels, sette piani narrativi, Storia, desiderio, immaginazione, sogno, realtà, metafora, facendoci riflettere che i primi film Multiverso erano già negli anni '60, "Il Posto delle Fragole" e "8 1/2", che con la stessa tua fluidità e maestria di raccordi, la stessa allegria e tenerezza contagiosa, raccontavano il passaggio continuo nella vita di ciascuno di noi, tra interno ed esterno, tra micro e macrocosmo, tra parole e musica, per cui è sufficiente "connaître la chanson" e lasciarsi andare, senza cercare per forza di capire. Fulvio Wetzl.
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