Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Nanni Moretti torna ad una dimensione molto più personale, citazionista ed autobiografica con questo "Il sol dell'avvenire" rispetto al precedente "Tre piani", che era il suo film più atipico ma, a conti fatti, forse il meno riuscito di una illustre carriera. Il suo quattordicesimo lungometraggio è forse il suo Otto e mezzo personale, come ha suggerito qualcuno (ma secondo me "Mia madre" lo era già in maniera evidente, quindi semmai si tratta di un aggiornamento), è una riflessione sul fare cinema oggi, nel 2023, sulla diversità della fruizione del pubblico (esilarante e coraggioso il siparietto Netflix), sullo sgretolamento dei rapporti di coppia e sociali (evidenti gli echi de "La messa è finita"), sul ruolo della violenza nella rappresentazione filmica, con un omaggio al genio di Kieslowski che ho trovato molto sentito, nonché una rievocazione indiretta ma ugualmente incisiva della rivolta ungherese nel 56 e un approdo a una cognizione politica dove il diktat del partito venga mediato dai valori umani di solidarietà e fede nell'individuo che impediscono al protagonista del film nel film di suicidarsi. "Il sol dell'avvenire" è a suo modo un film "nuovo" e anche "vecchio", una pellicola riassuntiva di un'intera carriera dove confluiscono Michele Apicella e i suoi personaggi più recenti, quasi sempre logorroici ma segnati dal tarlo dell'angoscia della maturità, un film che una parte del pubblico potrà rifiutare come inevitabilmente ripetitivo, ma in realtà anche profondamente liberatorio, poco accomodante con le debolezze dell'uomo e del personaggio Nanni, meditato e, in definitiva, "sincero come una tegola in testa" (Morandini dixit). Nanni è un regista che cura in maniera perfino maniacale la progressione drammaturgica della sceneggiatura e la costruzione dell'inquadratura, ma anche stavolta non ambisce a fare un film "perfetto", lasciando spazio ad alcuni "buchi" nella scansione di alcune scene e nella scrittura che forse sono ricercati insieme alle sue sceneggiatrici di fiducia, e che forse rendono più agevole la visione per un pubblico che non appartenga alla cerchia dei morettiani di lungo corso. A mio parere i momenti di fertile invenzione registica sono numerosi, con una passerella finale che sarà pure molto felliniana ma riconcilia col buonumore anche gli spettatori un po' orsi, i numerosi omaggi cinefili sono amministrati con garbo, senza strafare, e si respira un'aria di ritorno alle origini, di ripensamento dei propri mezzi espressivi in funzione di dialogo sornione col pubblico che lascerà ben disposto sia chi ha amato il Nanni umorista della prima maniera, sia chi ha continuato a seguirlo attraverso le svolte più dolorose di opere della maturità come "La stanza del figlio" e il citato "Mia madre". Nel cast Nanni si diverte a pronunciare battute come "non devo fare più un film ogni cinque anni", Margherita Buy aderisce con rinnovato impegno al suo ruolo di musa elettiva del regista, presente per la quinta volta in un suo film, ancora una volta fedele ad un certo cliché tipico di molti suoi personaggi, eppure capace di superare quel cliché e conferire sostanza umana e rinnovati chiaroscuri al personaggio. Buone le prestazioni di Silvio Orlando e Barbora Bobulova, per quanto confinati in ruoli un po' di fianco, ma è un film che prende luce e vigore anche dalle piccole partecipazioni, dai caratteristi che lo hanno accompagnato per una vita, dai volti a cui il regista sa conferire una vitalità tutt'altro che scontata. Per me una scommessa vinta, certamente non un capolavoro, ma un film che nel panorama asfittico del cinema italiano contemporaneo fa sempre la sua bella figura (anche se lo stesso per Moretti avveniva già negli anni 80).
Voto 8/10
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