Regia di Edoardo Gabbriellini, Carlo Salsa vedi scheda film
Una delle regole più autoevidenti di un thriller hitchcockiano è la differenza fra la coscienza dello spettatore e la coscienza di un personaggio: cos’è che uno sa e che l’altro non sa e viceversa? Quanto vario può essere lo spettro fra l’ironia e la suspense in questo gap potenzialmente immenso?
Nel caso di Gabbriellini e del suo Holiday non c’è né la suspense né l’ironia, i personaggi sanno qualcosa che gli spettatori non sanno ma questo genera, più che un thriller, un rivolo entropico di eventi amorfi.
Il puzzle di passato presente e futuro che è il discreto e silenzioso montaggio del film è la messa in atto, da parte del regista, dell’estensione prolungata ed estenuata di quel gap: cosa sa Veronica che noi non sappiamo? C’è qualcosa che noi sappiamo e che lei non sa? È forse lei, ancor più che Gabbriellini, a guidarci nella tortuosa storia della morte violenta di sua madre, e del processo che la vede accusata per matricidio? Chi è demiurgo, e chi è la vittima? Gabbriellini non risponde, e in compenso crea una struttura narrativa escheriana che quanto più si contorce tanto più allenta la tensione, esaurisce gli appigli, capovolge le convinzioni. Il cosa è successo in quella notte e il come diventano una verità offuscata, persa fra i litigi, i rancori, le immagini (reali e virtuali), le vendette. Più si dipanano dettagli della vita di Veronica, più il mistero si densifica e il dramma si svuota, in un processo di curiosa inversa proporzionalità, visto di rado almeno nel recente cinema italiano. A cosa risponde quest’evento violento nella parabola drammaturgica del personaggio di Veronica? Dove inizia il thriller e finisce il teen drama? Perché scoprire la verità su un omicidio si confonde pericolosamente con lo scoprire la verità sui sentimenti più contorti e confusi di un’adolescente? Alla fine il film allude a una risposta, stipandola fra le situazioni senza alcun tipo di climax o tensione crescente, relegando il mistero a un out of focus di creature oscure: forse non ci avevamo capito niente, ed era tutta una danza illusionista che cercava di sostituire il thriller col dramma, in una sorta di complotto extra-filmico che Veronica attua per rendersi ancora più oscura e incomprensibile. L’affascinante opera quarta di Gabbriellini, cupamente aliena per la produzione nostrana, accumula domande in uno storytelling isterico, che può disorientare ma che mette in scena con forza l’emancipazione (sessuale, esistenziale, filmica) di un’adolescente reietta.
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