Regia di Massimo Venier vedi scheda film
Noi siamo i figli della borghesia, affezionati alla bigiotteria, siamo i tappeti persiani ficcati sotto ai divani. Noi siamo i figli della frenesia, quello che resta di quegli anni Ottanta, la vetrinetta con l'argenteria, e una racchetta di Panatta. Siamo i risparmi chiusi in banca, siamo una settimana bianca... Siamo gli avanzi di un ricordo...
Dopo “Odio l’Estate” l’intera squadra è confermata: Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti alla sceneggiatura (con Davide Lantieri, Michele Pellegrini e Massimo Venier, che cura in solitario la regìa) e alla recitazione al fianco di una intelligentemente ribadita Lucia Mascino, ex Storti in Baglio, e come lei Roberto Citran, il cardinale, Pietro Ragusa, il maître, Francesco Brandi, il prete di campagna/montagna spopolantesi e la voce narrante in intro ed outro, mentre le new entry sono Elena Lietti, in Storti, Antonella Attili, in/ex Poretti, Margherita Mannino, novella sposa Storti jr., Giovanni Anzaldo, novello sposo Poretti jr., e poi Eleonora Romandini & Noemi Apuzzo, damigelle, Matilde Benedusi, cameriera, e Dina Braschi, suocera Storti, con Vittorio Omodei Zorini alla fotografia, Enrica Gatto al montaggio e Brunori Sas alle musiche (“i Figli della Borghesia”, dall’EP “Cheap!”, pubblicato quasi un anno prima dell’uscita del film, sembra fatto apposta per essere un perfetto compendio/corollario al film).
Se il risultato può dirsi di un’anticchia inferiore al precedente è solo per via di un passo falso del copione nella costruzione del pre-finale, quando Mascino dice a Lietti riferendosi a Baglio, che le ascolta non visto, che è “un poveraccio disperato di cui vergognarsi”, e lui se ne esce di scena col cuore spezzato e infranto, non potendo così sentire il prosieguo del discorso che lo riguarda e che termina col definirlo anche “la cosa migliore che mi sia capitata dopo mia figlia”, e il giorno dopo lui risolve tutto scusandosi e congedandosi, non prima di aggiungere una frase inconsapevolmente parallela a quella di lei la notte precedente, e cioè: “Ogni momento che ho passato con te è stato il più bello della mia vita”. Hm, a ripensarci bene, questo speculare confronto risolutorio funzionicchia, dai.
Ambientato sulla sponda orografica destra di quell’altro ramo del Lago di Como, cioè quello… di Como, s’un’ideale Isola Comacina con vista sulla penisola di Bellagio e il Triangolo Lariano, ma girato oltre che sul Lario anche con location tra il Verbano (Lago Maggiore), l’hinterland nord-est milanese e la Brianza malmostosa (e un po’… cheap).
Sottofinale molto bello che, a cocci per il momento riappacificati, si spegne felicemente, aperto sul futuro (che però il finale vero e proprio, à la “Animal House”, riassume dispiegandolo per l’occasione un po’ troppo didascalicamente).
* * * (¼) - 6.25
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