Regia di Antonio Manetti, Marco Manetti vedi scheda film
Ultra criticato da appassionati e cinefili generici (sarebbe interessante vedere cosa certi appassionati/critici di oggi avrebbero detto all'epoca dell'uscita di alcuni prodotti di genere italiani che oggi ostentano quali capolavori), Ginko all'Attacco è, in verità, un prodotto tecnicamente molto interessante (perde qualcosa sul versante interpretazioni). I Manetti Bros, reduci dal discreto successo del primo capitolo, ripropongono costumi, attrezzature e scenografie (soprattutto il covo del manigoldo) utilizzate nel loro precedente film, per girare a stretto giro di posta un sequel che, altrimenti, sarebbe stato difficile rispolverare in futuro. Luca Marinelli lascia il posto al non trascendentale, sebbene più fisicato, Giacomo Gianniotti nei panni del "re del terrore". Poco male, visto che il ladro in calzamaglia (costume perfezionato rispetto al primo episodio) viene accantonato quasi sullo sfondo della vicenda, dando maggior spazio all'ispettore chiamato a metterlo dietro alle sbarre. È infatti Ginko il vero protagonista del film e la cosa viene esplicitata fin dal sottotitolo. Mastandrea, nei panni del poliziotto, replica i cliché della sua prima interpretazione, fumando di continuo la pipa e ostentando una sagacia che sconfinerà nel suo esatto contrario. Diabolik ed Eva Kant (una Miriam Leone meno sensuale rispetto al primo capitolo) fanno le scarpe in grande stile alla polizia, che prima arriva al covo dei due amanti criminali (grazie a gioielli resi radioattivi) e poi, dopo aver recuperato l'intera refurtiva, si fa fregare dai due. Centrali, di nuovo, le immancabili maschere di Diabolik ma, questa volta, aumentano anche i vuoti narrativi (il più clamoroso è la fuga di Eva Kant dalla cabina telefonica, o lo svenimento di una poliziotta colpita dalla parte del manico di un pugnale scagliato da distanza ravvicinata).
Cresce, ed è un bene, il ritmo, indubbiamente più serrato rispetto al primo capitolo. Sono inoltre più fluide le scene d'azione, tra cui i primissimi piani dei coltelli che saettano in aria fino ad attingere i bersagli. Peccato per l'epilogo didascalico, oltre ultra telefonato e assai forzato, in cui viene spiegato l'artificio dei due malavitosi. Ciò detto, da un punto di vista visivo (lodevole la fotografia dark), resta un film che si lascia seguire con piacere grazie, soprattutto, al gusto registico dei due registi (la regia è molto buona e in linea agli insegnamenti del cinema bis del tempo che fu) e a una notevole colonna sonora di Pivio e Aldo De Scalzi che riproducono la sonorità dei film italiani anni settanta, omaggiando, tra gli altri, Profondo Rosso (musica delle sequenze interne alla villa abbandonata di Torino). Aspetti questi che devono essere considerati e che, senza ombra di dubbio, elevano la produzione a livelli discreti per il cinema nostrano, ben al di sopra della nostra media produttiva (non è che si veda molto di meglio in Italia).
Da segnalare, nel cast artistico, la presenza di una pomposa Monica Bellucci che certo non offre qua il suo meglio. Piccolo e inutile ruolo per Andrea Roncato, per l'ennesima volta attirato, per dirla alla Tomas Milian, dalla fregna. Presente infine un omaggio a Zdenek Zeman, con un poliziotto che si chiama col cognome dello storico allenatore di calcio. Avrà un ulteriore sequel, ancora più osteggiato di questo. Pur se criticato, sarà rivalutato in futuro dagli stessi che oggi lo affondano. Plauso ai Manetti e alla loro Mompracem (forse la migliore casa di produzione in vita interessata, in Italia, al cinema di genere).
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