Regia di Antonio Manetti, Marco Manetti vedi scheda film
Prosegue, in questo secondo capitolo, l’adesione filologica al fumetto che fa storcere il naso ai più lamentando mancanza di scene di azione “vere”, dialoghi scoppiettanti all’americana, adrenalina ecc…Dimenticando la premessa fondamentale che stava alla base di questo progetto di lungo respiro dei Manetti Bros: l’adesione maniacale al fumetto e alle atmosfere e realtà dell’epoca, i sessanta. In questo, la pellicola è, già di per se, visivamente, uno spettacolo (le auto, le apparecchiature, i vestiti..). La sigla di testa e la canzone iniziale che richiamano le psichedelìe del Diabolik di Bava e di altri omologhi (il Kriminal di Cerchio) valgono da soli il prezzo del biglietto. Va da sè che, in virtù di questo patto tacito e già implicito con il pubblico, nessuno può entrare in sala ed attendersi una pellicola di Kosinski, tanto per dire. Partendo da queste doverose premesse c’ è però di più in questo secondo capitolo, ovvero il ritmo che latitava nel primo. Le azioni sono sincopate, gli inseguimenti continui, si cerca una tensione narrativa che rimane alta per tutta la durata ma che soffre ( e qui stanno i difetti della pellicola e che sono quelli, in generale, del nostro cinema) di dialoghi legnosi e di un recitato affettato, da fiction tv. Detto questo, Giannotti funziona meglio di Martinelli, per quel poco che si vede, la Leone è il solito spettacolo per gli occhi e Mastandrea è il vero protagonista della pellicola riuscendo a dare al suo Ginko, indomito e mai rassegnato, quel “quid” di malinconico e introverso che rende il personaggio “vero” portandolo al di fuori della monodimensionalità del fumetto. La Bellucci/Altea è il consueto bel vedere ma occorre, come sempre, operare una certa sospensione dell’incredulità quando recita.
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