Regia di Antonio Manetti, Marco Manetti vedi scheda film
Il primo Diabolik (2021), dalla ricezione critica fredda e dagli incassi mediocri da parte del pubblico, a fronte dell'enorme battage pubblicitario e la risonanza mediatica (in relazione agli asfittici standard del panorama cinematografico nazionale), alla fine fu la classica montagna che partorì il topolino.
Ma il bello dell'Italia è il concederti infinite occasioni, perchè una volta inserito, lavorerai sempre e comunque, poco contano i risultati ottenuti, così anche i Manetti Bros. hanno la loro seconda possibilità, ma ovviamente invece di cercare di mutuare la loro visione artistica in relazione al cinema contemporaneo, facendo dialogare vecchio e nuovo, perseverano nella loro idea di partenza, moltiplicandone i difetti all'infinito.
Diabolik - Ginko all'Attacco, è una pellicola che esce nel 2022, ma nelle idee, forma e sostanza, risulta un film fuori tempo e scollegato da ogni contemporaneità, che disprezza ferocemente a favore di un passato mitizzato.
L'approccio filologico, teso a portare inquadratura per inquadratura le tavole del fumetto, ha come risultato un'opera che finisce con l'avere poco del fumetto e nulla del cinema. Non c'è alcuna freschezza in una costruzione registica imbarazzatamente fumettosa, senza mai essere veramente fumettistica. Le inquadrature fisse, rigide e piatte, si traducono in immagini molto più bidimensionali, del foglio su cui sono disegnate le vignette del Diabolik, intrise di un furore violento, immerso in quei neri soffocanti, mai riscontrati in alcuno dei singoli frame, che compongono il quadro di questa pellicola.
L'approccio da B-movie tardo anni 50'- inizio 60', porta a risultati pacchiani e goffi, andando anche contro le stesse idee di partenza del duo registico, volto a produrre un'operazione di vaporizzazione degli stilemi del fumetto, senza mai tradurli in cinema.
Il fallimento degli intenti artistici, viene d'altronde conclamato sin da subito, nella sequenza del coltetto lanciato da Diabolik contro il poliziotto, che non arriva a fendere l'aria o comunicare alcunché dell'oggetto o in merito alla natura spietata del protagonista, a causa di un'aggiunta non necessaria di un immagine ulteriore, che inquadra la lama nell'atto di compiere la sua traiettoria mortale, ma de-privata di ogni senso di minaccia, perché quell'immagine manca di ogni forza dinamica.
Le linee cinetiche tipiche del fumetto, nonché la capacità dei disegnatori di conferire plasticità ai corpi delle figure disegnate, conferisce quel fascino autentico ad oggetti e personaggi, che altrimenti risulterebbero statici e incredibilmente fissi all'occhio. Inserimento di micro-frame, stadycam che si distorcono per un due frazioni di secondo, split-screen e accelerazioni, sono stilemi che contribuirebbero a trapiantare elementi della nona arte, in forma cinematografica, a patto che si sappia adoperarli, cosa che qui non avviene mai, poiché l'impressione che se ne ricava, è sempre quella di un B-movie fuori luogo e tempo massimo.
Troppo costruito, troppo artefatto e troppo inutilmente innaturale sia a-propri ed a posteriori, men che mai armonioso nella messa in scena. Il tono sopra le righe, non diviene mai fumettistico - non bastano di certo improbabili entrate di nascondigli segreti piazzati ovunque, per esserlo -, semmai fumettoso oltre ogni possibile soglia del ridicolo.
L'eterogeneità inconsistente quanto contraddittoria dei riferimenti, con l'onnipresente scusa del "post-modernismo" - un simil John Travolta dei poveri in stile Grease, ballerine infiltrate esperte di arti-marziali che nulla combinano, attese simil western alla Sergio Leone e molto altro -, produce un piatto privo di amalgama tra gli ingredienti. Un sapore orribile al gusto, senza essere nemmeno soddisfacente allo sguardo, causa fotografia piatta nella resa delle luci, rendendo questa pellicola smorta visivamente, come solo sono tutti i personaggi, ridotti a pronunciare battute che suonano ridicole all'ascolto, con un'impostazione recitativa iper-legnosa. Se il casting di Gianniotti al posto di Marinelli, non ha portato nulla di aggiuntivo in Diabolik, quanto semmai lo ha banalizzato nelle fattezze facciali di un belloccio insignificante dal vocione americaneggiante, finisce con l'uscirne svalutata enormemente rispetto all'opera precedente pure l'Eva Kant di Miriam Leone. L'attrice sarà uguale alla controparte cartacea, nella sua algida bellezza, ma siamo innanzi ad un manichino a comando, non ad un personaggio con un minimo di psicologia, rendendo in tal modo insignificante la sua perfezione estetica, un po' come quel tuffo in acqua da lei eseguito al pari di una professionista; più un ciocco di legno che cade nel fiume, che un corpo mai plasmato anche innanzi ad un salto nel vuoto da considerevole altezza.
Come e ancor più del primo, questo Diabolik fallisce per l'assenza di un'estetica visivo-fumettista, che avrebbe contribuito a conferire maggior credibilità alla miriade di errori e problemi nella scrittura, di cui è inutile stilare un elenco tante ne sono. Uno su tutti, l'attenzione data nel titolo all'ispettore Ginko (Valerio Mastandea), che farebbe dedurre grande attenzione alla sua figura ed invece, il personaggio è l'ennesimo manichino de-privato di anima, nemico giurato di Diabolik senza alcuna ossessione, amante clandestino ma sempre immerso nel lavoro (quando l'avrebbe conosciuta questa duchessa residente in terra straniera dall'improponibile accento franco-provenzale?) e soprattutto mai capace di un'idea geniale, che possa mettere in difficoltà Diabolik, sempre 10 passi avanti a lui nelle previsioni e nelle svolte narrative, che sono telefonate per ogni spettatore, ma mai per coloro che sono in scena - però tranquilli! Per chi non fosse stato "attento", c'è pure lo spiegone finale a portata di tutti - .
Ginko e la miriade di poliziotti dalle fattezze e voci intercambiabili, sono sempre alla ricerca di due individui sfuggenti in tutina nera, immersi in un'eterna ricorsa in tondo, come lo è questo seguito di Diabolik, che come e ancor più del precedente, risulta anemico, prevedibile, piatto e privo di un qualsiasi interesse nella risibilità della vicenda narrata.
D'altronde siamo l'Italia, il paese delle eterne possibilità per chi è inserito, quindi un terzo capitolo nonostante il disastro critico e di pubblico, ci sarà senz'altro e con il medesimo arrogante approccio fallimentare.
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