Dal fumetto omonimo numero, e precisamente dal numero 16 della collana originale a cura delle sorelle Giussani, i Manetti tornano a portare in sala una trasposizione del cattivo per antonomasia del fumetto italiano.
Il ladro in calzamaglia nera è da sempre, probabilmente, l'uomo più ossessionato da ricchezza e gioielli che possa esistere sulla Terra, al punto che la incurabile smania di possesso di Diabolik può a tutti gli effetti ritenersi come una manifestazione di una mania ossessivo-compulsiva che meriterebbe di essere studiata a fondo.
Non fosse che, in quella Clerville da spumeggianti anni '60 che fa ben oltre che da cornice alla vicenda, le autorità hanno cose più importanti da affrontare quando si trovano di fronte ai trabocchetti del ladro più astuto mai affrontato prima.
Il nostro cattivo in calzamaglia e maschera nere, è indubbiamente un uomo molto professionale, così meticoloso e preciso che quasi si merita di intascare i preziosi che gli avventati proprietari lasciano loro malgrado nelle mani di una polizia davvero inetta ed ingenua.
D'altro canto l'ispettore Ginko è un tipo tosto, e dedito alla cattura del suo più acerrimo rivale attraverso un impegno che ormai va oltre la deontologia professionale, trasformandosi in una sfida decisamente personale, che, tuttavia, lo vede sempre soccombere alle abilità del suo più astuto avversario di sempre.
Dopo un iniziale colpo acrobatico riuscito alla perfezione, Diabolik prende di mira una sfilata di preziosi che viene organizzata in un grande teatro, in presenza di tutti i notabili cittadini e delle rispettive consorti.
Mentre una canzone sinuosa, molto gradevole già al primo ascolto e scientemente un po' retrò di Diodato intitolata "Se mi vuoi" permette di dare inizio alla sfilata, e di far scorrere gli stilosi titoli di testa, il piano dell'abile ladro sembra filare alla perfezione come sempre.
Ma stavolta Ginko si è preparato per bene e darà serio filo da torcere a Diabolik e alla sua compagna Eva.
I due dovranno separarsi e la bella donna si dichiarerà disposta a tradire il suo compagno, reo di averla abbandonata in balia del poliziotto.
Ginko ci crede, ci casca un0altra volta, forse distratto dal ritorno in città di una sua vecchia fiamma ed amante segreta.
Tutti sanno bene che non dovrebbe fidarsi della bella Eva Kant, ma tant'è il fascino femminile, che il preparatissimo poliziotto anche stavolta diviene vittima di un piano a dir poco diabolico.
I Manetti, forti del discreto successo del film capostipite, ci riprovano e, se possibile, rendono ancora più affascinante la location di una storia scientemente demodé che catapulta lo spettatore, più che nel passato, in una dimensione alternativa ispirata ad un ovattato mondo anni '60, dichiaratamente omaggiante il periodo più suggestivo vissuto da noto fumetto delle Giussani.
E dunque formalmente e scenicamente il film risulta davvero interessante ed accattivante.
Ciò che stona molto sono le recitazioni dei personaggi, soprattutto quelli di second'ordine.
E dunque se Diabolik, col nuovo volto e corpo molto da soap opera dell'attore italo-canadese Giacomo Gianniotti si trasforma da protagonista, a personaggio sostanzialmente di contorno, concentrandosi la vicenda su un Ginko un po' bolso di Valerio Mastandrea e dalla Eva Kant di una Miriam Leone che recita al rallentatore e quasi fuori sincrono, i ruoli di contorno sono davvero la fiera dell'approssimazione e della banalità più piatta e totale.
Basti pensare alla figura scarnificata e bolsa del giovane ed ambizioso poliziotto interpretato da Alessio Lapice e della sua intollerabilmente ingenua collega-nerd, impicciona ma inconcludente, per rendere bene l'idea di questo vuoto totale che subentra nella vicenda.
C'è poi Monica Bellucci che, nel ruolo della nobildonna Altea, si ripropone in una scena degna di una farsa dello spot del noto cioccolatino pralinato con l'autista servizievole e sempre opportuno Ambrogio, che in questo caso è un maggiordomo di nome Osvaldo: tutto molto imbarazzante, ma non troppo, se si riesce a far mente locale sulla carriera glamour, ma anche tanto inconsistente, della celebre, bellissima diva italiana in quest'ultimo trentennio.
I Manetti sono bravi a ricreare la dimensione retrò del tutto convincente che predomina nel film e fa da padrona e molto più che un semplice contorno di una vicenda che, al contrario, appare molto svilita e risaputa.
I due fratelli sono abili a rarefare i toni ed i ritmi rendendo tutto il contesto scenico piuttosto consono allo stile inevitabilmente vintage del fumetto originale.
Ma certo, nella costruzione e sviluppo dei singoli personaggi, da cui pare esali un fastidioso ed insistente profumo di naftalina presto stucchevole, i due peccano di qualunquismo, rendendo stagnante molta parte dei dialoghi che al contrario avrebbero dovuto sostenere e sostituire la comprensibile e volontaria scelta di non esagerare con le scene d'azione.
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