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Marcia su Roma

Regia di Mark Cousins vedi scheda film

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La recensione su Marcia su Roma

di giammaz
8 stelle

Non è un documentario storico sull'avvento del fascismo e sulla "marcia su Roma" ma sul mito della "Marcia" costruito a partire dal film ufficiale del PNF (A noi! di Umberto Paradisi). Se nella tradizione nostrana ha prevalso la demitizzazione (cfr. Dino Risi) con le sue ambiguità (fascismo da barzelletta), Cousins ne decostruisce il mito. Voto 8

 

Ma quando avvenne la “marcia”?

Come è noto c’è una data ufficiale che però non sembra corrispondere ai fatti. Vediamo di ricapitolare cosa avvenne dal 24 al 31 ottobre 1922.

  • Il 24 ottobre in una grande adunata a Napoli convergono squadre fasciste specie dal centro sud. Mussolini lancia la sfida al governo Facta:

«Noi fascisti non intendiamo andare al potere per la porta di servizio … Noi vogliamo diventare Stato! … O ci daranno il Governo o ce lo piglieremo noi calando su Roma».

  • Per organizzare e guidare la marcia, stabilita per il 27 ottobre, sono designati i “quadrumviri” (Italo Balbo, Emilio De Bono, Cesare De Vecchi e Michele Bianchi) che pongono la loro sede a Perugia (Hotel Brufani). Mussolini invece staziona presso la sede del Il Popolo d’Italia a Milano da dove gestisce direttamente i contatti politici.
  • Dal 26 e in pieno sviluppo il 27 e 28 la mobilitazione fascista si concentra in tutti i capoluoghi di provincia: il piano prevedeva l’occupazione degli edifici pubblici, rastrellamento di armi, mantenimento di presidi armati e invio a Roma, in camion e soprattutto in treno, delle squadre più organizzate[1].
  • Il 27, in seguito alle notizie provenienti dalle prefetture di tutto il paese sulla insurrezione in atto, Facta dichiara lo Stato d’Assedio che il re non firmerà.
  • 28 e 29: Facta si dimette e si profila un governo Salandra che inglobi i fascisti. Mussolini con un editoriale del Il Popolo d’Italia respinge l’ipotesi:


« … la vittoria non può esser mutilata da combinazioni dell’ultima ora. Per arrivare a una transizione Salandra non valeva la pena di mobilitare. Il Governo dev’essere           nettamente fascista.» (29 ottobre)

Il re convoca Mussolini per formare il nuovo governo.

  • Alle 10.30 del 30 ottobre Mussolini giunge a Roma in treno e, dopo aver ricevuto formalmente l’incarico dal re, forma un governo di coalizione. Le prime squadre entrano a Roma nel pomeriggio
  • Il 31 il grande corteo fascista attraversa Roma; le immagini di quella sfilata verranno perlopiù retrodatate al 28.

 

Così commenta Franzinelli:

“Il raffronto tra il calendario della politica e l'acme dell'insurre­zione evidenzia un dato di fatto lapalissiano: la marcia su Roma non precedette, bensì seguì la nomina di Mussolini a capo del governo. Il duce, insomma, anticipò (in vagone-letto) le colon­ne che, alla resa dello Stato liberale, si rimisero in marcia, o me­glio salirono sui treni, per sfilare nella capitale, omaggiando il re e il duce, divenuto - grazie a loro - presidente del Consiglio.

Il nascente governo è nominalmente di coalizione tra fa­scisti, nazionalisti, popolari, liberali e democratici, ma il fatto che Mussolini, oltre che presidente del Consiglio, sia ministro dell'Interno e ministro degli Esteri, che il segretario del PNFf, Michele Bianchi, divenga segretario generale dell'Interno e il quadrunviro Emilio De Bono direttore generale della PS, fa in­tendere che il fascismo si fa Stato, mentre gli alleati sono privi di reale incidenza.

Comunque, se di colpo di Stato si può parlare, esso fu perpe­trato non già a Roma, ma alla periferia, con l'occupazione di pre­fetture, questure e uffici pubblici di mezza Italia, il 27-28 ottobre.”[2]

 

Le premesse dell’insurrezione

Alle elezioni del novembre 1919 il movimento fascista, nato il 23 marzo di quell’anno (Fasci italiani di combattimento), non elegge nessun deputato. Due anni dopo, in quelle del maggio 1921, entrato in coalizione nei “Blocchi nazionali” proposti da Giolitti, elegge 35 deputati fra cui lo stesso Mussolini e il 7 novembre si costituisce il Partito nazionale Fascista (PNF) strutturato a livello paramilitare con posizioni nettamente reazionarie e antisocialiste.

Le squadre fasciste intervengono contro gli scioperi sia bracciantili che operai, contro le leghe e i sindacati, contro le Case del popolo e le redazioni dei giornali avversari, contro le amministrazioni socialiste e repubblicane; azioni violente quasi sempre tollerate dalle forze dell’ordine e impunite dalla magistratura. Le violenze crescono in modo esponenziale durante tutto il 1921 e già si hanno alcuni casi di occupazioni di città come Treviso nel luglio e Ravenna nel settembre di quell’anno. La conquista dei capoluoghi diverrà sistematica a partire dal maggio 1922 sostenuta da una crescita sia di iscritti che di sezioni del PNF (oltre 1300 sezioni e 323.000 iscritti).

“La conquista militare investe i baluardi socialisti. Con tecnica collaudata, la mobilitazione inizia nelle campagne e culmina nei centri urbani. Decisiva è la «rapidità di spostamento»: monta­ti su treni (senza munirsi di biglietto o su camion (privi di targa per depistare le indagini), gli squadristi scorraz­zano indisturbati di regione in regione. Al contrario, i socialisti si caratterizzano per l'«immobilità»: radicati nella borgata o nel quartiere, vengono sbaragliati dalla guerra di movimento, che moltiplica le energie e accresce la «specializzazione» dei profes­sionisti della violenza. Il dislivello tra le due concezioni pena­lizza le sinistre, legate a una cultura localistica.”[3]

Solo Parma, con il socialista Guido Picelli e gli Arditi del popolo riuscirà a resistere anche dopo il fallimento nel resto del paese dello “sciopero legalitario” indetto dalla Alleanza del Lavoro all’inizio di agosto: ancora il 14 di ottobre Italo Balbo, alla guida di almeno 10.000 fascisti, dovrà rinunciare ad occupare la città ritirandosi.

 

Il mito della marcia su Roma

La sacralizzazione della marcia sarà rapida: il 28 ottobre 1922, verrà proclamato quale inizio dell’Anno I dell’era fascista. Già nel primo anniversario del 1923, ancora con il governo formalmente di coalizione, verrà dichiarata una festa nazionale di 4 giorni e per l’occasione verranno coniate monete d’oro da 20 e 100 lire ed emessa una serie di francobolli «per celebrare la data dell'avvento al potere del Fascismo».

Viene organizzata una replica della marcia ed emessa una amnistia che in realtà servirà solo per liberare i fascisti condannati per le violenze precedenti alla marcia. L’indicazione del 28 quale data ufficiale della marcia ha un significato preciso: solo dopo la “conquista” da parte delle truppe fasciste della città di Roma, il re avrebbe nominato Mussolini capo del governo.

E annualmente il mito viene “potenziato” e celebrato dai discorsi di Mussolini, così come il numero di “caduti” fascisti durante la marcia cresce di anno in anno e ancor più i “brevetti” rilasciati ai partecipanti sia veri che presunti, tal che tale onorificenza verrà esplicitamente assegnata anche a chi non ha affatto partecipato alla marcia ma è comunque considerato meritevole per aver contribuito al successo del fascismo[4].

L’immagine celebrata sarà quella di una perfetta organizzazione militare guidata da Mussolini in persona. Margherita Sarfatti nel suo Dux scriverà

“Il Duce imbraccia il fucile … la Vittoria non sarà mutilata”

La vittoria del fascismo diventa allora prosecuzione di quella di Vittorio Veneto: vittoria anche contro il nemico interno. E alle celebrazioni civili si aggiungono annualmente quelle religiose di ringraziamento per la sconfitta del comune nemico bolscevico.

Nel Decennale il mito assurge alla sua massima espressione. Viene Celebrata sia l’insurrezione che le opere realizzate dal regime. Il 29 ottobre 1932 viene inaugurata a Roma al Palazzo delle Esposizioni la Mostra della Rivoluzione Fascista allestita da Mario Sironi: 15.000 fotografie distribuite in 15 sale con citazioni del duce fino all’ultima sala Q dedicata alla marcia assunta a mito astorico di rilevanza decisamente maggiore della Presa della Bastiglia, che celebra la Bellezza e perfezione della macchina diretta dal DUX. La mostra avrà due anni di aperura e quattro milioni di visitatori.

Numerose le opere memorialistiche come il Diario 1922 di Italo Balbo e quelle cinematografiche. Il regista Alessandro Blasetti realizza il documentario propagandistico, commissionato dal Ministero dell’Istruzione, Il Decennale che verrà proiettato in tutte le scuole elementari e medie. Giovacchino Forzanorealizza Camicia nera una fiction propagandistica ove l’avvento e le opere realizzate dal fascismo nel decennale sono “riscoperte” da un ex combattente che aveva perso la memoria. La fiction più significativa sarà realizzata l’anno dopo da Blasetti con Vecchia guardia: la vicenda, ambientata a Viterbo nel 1922, esalta le imprese degli squadristi locali, capitanati dal reduce della Grande Guerra Roberto Cardini (interpretato da Mino Doro), che con scontri violenti e olio di ricino costringono operai e infermieri a interrompere gli scioperi. Alle imprese squadriste partecipa anche il giovanissimo Mario, fratello di Roberto, che morirà negli scontri. La vicenda si conclude con le squadre fasciste di Viterbo che partono per Orte e di lì partecipare alla marcia per la capitale. Il film, nella versione tedesca, piacque particolarmente a Hitler che volle incontrare Blasetti e il dodicenne Franco Brambilla, l’interprete di Mario Cardini.

 

Gli equivoci della demitizzazione

Nell’ambito dell’antifascismo e delle sinistre dell’epoca si può osservare una sostanziale sottovalutazione del movimento fascista e del significato della marcia su Roma: di fronte alla retorica del mito fascista si punta spesso alla demitizzazione amplificando aspetti grotteschi e contrapponendo l’ironia alle esaltazioni roboanti. Lasciando sottotraccia il fatto che il fascismo ha preso rapidamente il potere, annullando le opposizioni e assumendo rapidamente il carattere di una dittatura totalitaria.

I comunisti del PCd’I nel loro organo torinese L’Ordine Nuovo a più riprese tra il 1921 e il ’22 esprimono questa sottovalutazione: il fascismo “è caratterizzato dall’incapacità organica di darsi una legge, a fondare uno Stato”[5]; “I fascisti vogliono buttare giù il baraccone parlamentare? Ma noi ne saremmo lietissimi.”[6] Nei giorni dell’insurrezione il PCd’I pensa a una sceneggiata che si concluderà con una divisione di poltrone gestita da Giolitti e il 28 ottobre l’editoriale de L’Ordine Nuovo recita “Nella sorda lotta tra liberali e fascisti il proletariato non può parteggiare: esso non può che attendere lo svolgersi degli avvenimenti”. La notte successiva redazione e tipografia verranno devastate e il giornale comunista potrà in seguito uscire solo in fogli ciclostilati clandestini.

La Confederazione Generale del Lavoro rifiuta di proclamare uno sciopero generale antifascista “per non compromettere la propria indipendenza”; tre anni dopo il regime metterà al bando ogni sindacato non fascista e la CGdL si dividerà fra chi sceglie l’autoscioglimento e chi (sinistra sindacale) ricostituirà clandestinamente il sindacato all’estero.

Nel 1923, nel primo anniversario della marcia l’organo socialista Avanti!la definirà una: “passeggiata goliardica, ricca di pittoresco, scarsa d’azione”. Già sottoposto ad attacchi e devastazioni anche l’Avanti! dovrà poi passare alla clandestinità con redazione all’estero a seguito delle leggi fasciatissime del 1926.

L’atteggiamento di sottovalutazione delle forze organizzate (e divise) delle sinistre e più in generale antifasciste si riflette nelle posizioni di molti esponenti di rilievo che nei loro scritti esprimono spesso la loro avversione al fascismo con l’ironia e la demitizzazione. Possiamo ricordare Emilio Lussu con la sua Marcia su Roma e dintorni (1931) che mette alla berlina in particolare (ma non solo) i fascisti sardi, Ignazio Silone che nel suo saggio Il fascismo. Origini e sviluppo, terminato nel 1931 e pubblicato prima in tedesco nel 1934, parla della marcia non come una rivoluzione ma di “una normalissima parata”; ancor più corrosivo Gaetano Salvemini nelle sue Lezioni di Harvard(1933)

“Dopo la revoca del decreto di stato d'assedio, nel pomeriggio del 28 ottobre e per tutto il giorno 29 e la notte seguente, migliaia di fascisti avevano «marciato su Roma», unendosi a coloro che già avevano «marciato» nella notte del 27 e la mattina del 28. Al­cuni di loro, come il Duce, «marciarono» in vagone letto; la mag­gioranza «marciò» nei treni che erano stati presi d'assalto, altri su camion, alcuni a cavallo o anche a piedi. Al loro passaggio vi fu ovunque un incredibile massacro di polli e intere botti di vino vennero ridotte all'asciutto; e quel contadino che fosse stato tan­to indiscreto da reclamare i propri diritti di proprietà su una gal­lina o su un fiasco di vino correva il rischio di passarsela brutta, come «comunista» e «nemico della patria. … Quando tutto fu preparato per questa ridicola dimostrazione, finalmente nel pomeriggio del 31 ottobre la dimostrazione ebbe luogo. Cinquantamila uomini sfilarono in parata per le strade di Roma per celebrare la loro vittoria, dopo una «marcia su Roma» che non c'era mai stata.”[7]

L’unica voce lucida dissonante sembra essere quella di Piero Gobetti: in occasione del primo anniversario della marcia su La Rivoluzione Liberale scrive che Mussolini:

«in un anno di go­verno ha spezzato tutte le resistenze, ha costretto tutti gli uomini a piegarsi, a rinunciare alla loro dignità. Ha ridotto alla schiavi­tù liberali, democratici, popolari», mentre «il regime si consoli­da, trionfa di tutte le opposizioni, canzona tutti gli avversari»[8].

Non c’è da meravigliarsi se questa lettura demitizzante e dissacrante del fascismo nel dopoguerra sia rimasta quale eredità nella cultura e nell’immaginario del nostro paese.

Ne è chiara espressione nel 1962 il film La marcia su Roma di Dino Risi con Gassman e Tognazzi nella vesti di non molto convinti squadristi che dopo alterne vicissitudini, compreso un periodo in galera, parteciperanno inizialmente alla marcia per poi dissociarsene a seguito di episodi di eccessiva violenza di propri commilitoni. Abbandonata la camicia nera e indossati vestiti borghesi osserveranno perplessi la grande sfilata per le vie di Roma. Si inseriscono nel filmato alcune sequenze di A noi! (cfr. sotto) ma il contesto (e lo sguardo) è quello di una commedia all’italiana che dal film trapassa agli eventi storici. E all’immaginario collettivo.

Vi è una certa difficoltà da parte italiana a guardare al fascismo senza cadere in sottovalutazioni. Anche un intellettuale come Umberto Ecoche pur ha sottolineato il pericolo di un ritorno del fascismo, sia pur in forme diverse, nel suo Il fascismo eterno[9]affermerà che «Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario»: la sua forma di dittatura, diversamente dal regime totalitario nazista, può esser definita come un «Totalitarismo fuzzy» (ovvero sfumato, incerto). Dimenticando che Hitler fu un ammiratore e sostanzialmente un allievo di Mussolini di cui volle imitarne le gesta in terra germanica, anche se inizialmente in modo sostanzialmente maldestro con il Putsch di Monaco (novembre 1923).

Nell’immaginario e nella cultura italiana è perdurata questa sottovalutazione del fascismo implicitamente autoassolvendoci di esserne stati i “padri” il che ci ha permesso di (o meglio ci siamo permessi) di non fare i conti su cosa il fascismo effettivamente è stato e ha comportato come conseguenze non solo in Italia. Diverso lo sguardo di storici non italiani: ne cito due.

Lo storico tedesco Hans Woller che in Mussolini il primo fascista[10] sulla base della documentazione degli archivi tedeschi evidenzia il debito di Hitler nei confronti di Mussolini, il carattere totalitario del suo regime che ha fascistizzato lo Stato italiano divenendo l’originario riferimento internazionale per tutti i movimenti politici e regimi autoritari di destra.

Lo storico argentino Federico Finchelstein che nel suo saggio Dai fascismi ai populismi. Storia, politica e demagogia nel mondo attuale[11] sottolinea che quando diventò un regime, nell'Italia del 1922, il termine «fascismo» ricevette un'atten­zione su scala mondiale da parte di numerosi movimenti politici antidemocratici che vi si ispirarono.

“Come osserva lo storico del fascismo giapponese Reto Hoffmann, i movimenti fascisti «indossavano un arcobaleno di camicie» - color acciaio in Siria, verde in Egitto, blu in Cina, arancione in Sud Africa, oro in Messico - e queste varianti dicono molto sugli specifici adattamenti nazionali di quella che chiaramente era un'ideologia globale. A questa connessione fra ideologia e vestiario si potrebbe aggiungere il classico bruno in Germania e, ovviamente, il nero in Italia, l'azzurro in Portogallo e in Irlanda, il verde in Brasile. Ispirandosi a un rifiuto globale dei valori democratici universali, il fascismo mostra­va una tavolozza ideologica chiaramente collocata all'estrema destra dello spettro politico.”[12]

No!, la marcia su Roma non fu una parata folkloristica ma la messa in scena finale di una insurrezione e il fascismo non fu una barzelletta. Le barzellette erano semmai lo strumento (debole) di chi non voleva piegarsi fino in fondo al regime e, se da questo punto di vista erano comprensibili, ripetute dopo (o il loro spirito) diventano falsificazione storica e copertura della mancata resa dei conti con le nostre responsabilità storiche.

Le letture da fuori (dall’estero) ci ricordano due cose almeno: che Hitler fu ammiratore ed allievo di Mussolini, da cui riprese ideologia e modalità d’azione e che il fascismo italiano diffuse nel mondo un germe malato. Una varante oscura della modernità: i fascismi si diffusero non solo in Europa ma in tutti i continenti come ci ricorda Finchelstein quali movimenti politici organizzati in forme paramilitari che utilizzano la violenza contro avversari in ripudio della democrazia.

Se teniamo conto di tutto questo la lettura di Mark Cousins diventa più comprensibile. Abbiamo avuto bisogno di un regista straniero per permetterci finalmente di ripercorrere con occhio diverso il 1922 e quanto malauguratamente ne seguì.

 

Il regista Mark Cousins

“Sono cresciuto a Belfast, dove la guerra era costante, seppure non a livelli troppo elevati. Ero un ragazzo nervoso, forse lo sono ancora, entrare in un luogo come una sala con quelle sue grandi luci, mi pareva che il cinema mi stringesse tra le sue braccia, rispondeva a quell’esigenza condivisibile di stare insieme, di socializzare e al contempo permetteva di fuggire, di andare fuori, rappresentava una forma di evasione. Non c’era però né un libro né una pellicola che spiegassero questa sensazione in maniera accettabile, per questo ho fatto The Story of Film: An Odyssey.”[13]

Regista irlandese, anche se nato a Coventry nel 1965, inizialmente i suoi interessi e studi sono indirizzati alla storia dell’arte per poi rivolgersi al cinema che considera la forma d’arte principale del XX secolo, in grado di rivolgersi ad ogni sorta di pubblico. Inizia come conduttore televisivo di della serie prodotta dalla BBC Moviedrome in cui presenta film poco noti (una sorta di “Fuori orario” britannica) per poi produrre numerosi documentari sulla storia del cinema sino alla sua opera principale: The Story of Film: An Odyssey (2011). L’intento non è filologico, né nostalgico ma volto a far rivivere la magia dello sguardo “altro” del cinema con una visuale non limitata all’occidente ma con forte attenzione internazionale alle cinematografie asiatiche e africane. In altre sue opere si dedica in particolare a due temi: il cinema e i bambini (A Story of Children and Film, 2013) e la cinematografia delle registe (Women Make Film: A New Road Movie Through Cinema, 2018). Importante anche la sua rilettura della filmografia di Orson Welles (Lo sguardo di Orson Welles, 2018).

Il metodo di analisi Cousins non è storico ma semiotico dove le sequenze rimandano ad altre sequenze in una sorta di Mise en abyme; analogamente la successione dei temi non segue un ordine logico ma analogico e magari casuale.

“Leggenda vuole che, quando lavori a uno dei suoi documentari, segua un procedimento analogico, scrivendo nomi o scene di pellicole su pezzi di carta 4x3, che poi mescola a suo piacimento sul pavimento del suo ufficio. Da qui parte tutto un lavoro che poi troverà la sua definitiva fine in sede di montaggio.”[14]

 

Due rimandi filmici di un secolo fa

Prima di addentrarci nel docu-drama Marcia su Roma qualche cenno ai due rimandi fondamentali di Cousins, entrambi facilmente visionabili integralmente online.

Opera della prima e prolifica regista italiana Elvira Notari, il lungometraggio È piccerella(1922), ispirato nel titolo e parzialmente nella vicenda ad una canzone del noto musicista napoletano Salvatore Gambardella, narra l’amore funesto di Tore per la giovane Margaretella che innamorati tanti ne aveva già avuti e tanti ne aveva lasciati. Pur di legarla a sé Tore, con regali sempre più costosi, rovina economicamente anche la propria famiglia. Il tutto finirà in tragedia con il ferimento di Tore in un duello di coltello e pistola con un altro pretendente, la morte di sua madre ridotta in miseria e, ormai abbandonato dalla piccerella, la sua uccisione della giovane ammaliatrice. La scena finale ci mostra Tore in carcere in preda ai suoi incubi di un amore malato.

Al di là della vicenda melodrammatica il film ci dà uno spaccato efficacissimo della vita collettiva napoletana: la sfilata tra due ali di folla delle carrozze e delle prime autovetture di ritorno dal pellegrinaggio delle giovani ragazze accompagnate dai familiari dal Santuario di Montevergine, i pranzi d’obbligo in trattoria dopo il digiuno per il pellegrinaggio, la vita nei bar e i balli nei ristoranti, la festa di Santa Maria del Carmine con l’affollamento al mercato, l’addobbo dei balconi delle case patrizie, la folla che assiste partecipe alla fantasmagoria dei fuochi d’artificio.

Il film, come altri della Notari, ebbe notevole successo sia in Italia che tra gli emigrati negli Stati Uniti che potevano ritrovarvi una rappresentazione veritiera della vita in madrepatria. Il film è in sostanza una carrellata delle passioni, spesso estreme, dei napoletani rappresentate anche in modo crudo come nel duello o nella uccisione di Margaretella. Il critico Yann Esvan nel suo commento su E Muto Fu ne intravede una anticipazione del neorealismo:

“… è proprio questa caratteristica [la crudezza e i comportamenti esasperati] a far emergere il cinema della Notari rispetto ai suoi contemporanei, che diventa un primo passaggio verso quel cinema neorealista che prenderà forma solo nel dopoguerra. Se per noi, quindi, il cinema della Notari è ricco di spunti ed interessi, non era invece così amato dal regime, che appena possibile cercò di sostituire questa Napoli ferina ad una raggiante e priva di ombre come in Vedi Napule e po’ mori di Perego (1928) … . Un’altra caratteristica dei film della Notari è l’attenzione al folklore locale, con la presenza di tante processioni e feste patronali, ma anche quella di variare molto la lingua delle didascalie che spazia dall’aulico al napoletano”.

È piccerella è visionabile integralmente <qui>.

Passiamo ora al film ufficiale della marcia su Roma: A noi! del regista lombardo Umberto Paradisi (1878-1933); la pellicola è stata di recente restaurata a cura dell’Archivio Storico Luce. Girato nel 1922 e presentato il 23 marzo 1923 in occasione del quarto anniversario della nascita dei Fasci italiani di combattimento, il suo titolo completo recita “A Noi! Con le Camicie Nere, dalla sagra di Napoli alla conquista di Roma”. La produzione è del Sindacato d’Istruzione Cinematografica diretta da Luciano De Feo, società che attraverso altri passaggi darà poi vita nel 1924 all’Istituto LUCE (L’Unione Cinematografica Educativa) che l’anno successivo Mussolini trasformerà in ente pubblico ufficiale: il principale strumento di propaganda del regime.

Le rime sequenze riproducono il seguente documento ufficiale:

“Il Partito Nazionale Fascista dichiara essere il film “A NOI! …” la rappresentazione ufficiale dei memorabili avvenimenti che, per virtù della nostra Gente usa a trionfi e civiltà millenarie, hanno restituita all’Italia l’anima eroica di Vittorio Veneto, e lo consacra alla silenziosa, fervida, devota ammirazione degli Italiani in Patria e per tutto il mondo”

Il film è suddiviso in tre episodi. Il primo è dedicato alla giornata del 24 ottobre con il grande raduno delle camicie nere a Napoli. Dopo una ripresa dall’alto della città e del Golfo alle prime luci dell’alba si susseguono gli arrivi soprattutto dal centro e dal sud, sia per treno che con nave. Sfilano le camicie nere compresi i balilla da Piazza plebiscito al grande concentramento all’Arenaccia. Non manca l’esibizione del “Santo Manganello”. Mussolini e i quadrumviri salgono sul palco. Il volto dallo sguardo severo del duce conclude la prima parte.

Il secondo episodio è titolato “Le giornate del 28-29 Ottobre 1922” con le riprese a Roma (con molte sequenze comunque girate nei giorni successivi). Si inizia con le transenne di quello che viene chiamato il “Simulacro dello Stato d’Assedio” e militari che controllano l’arrivo delle camicie nere. Camion e treni affluiscono; numerosi gli episodi di attacco ai “covi di sovversivi” e di falò della stampa avversaria. I cittadini romani applaudono e in parte si accodano alle camicie nere. Alla stazione Termini la folla assiste all’arrivo di Mussolini. Le ultime sequenze sono in Piazza del Quirinale con la folla che fa ala per far passare le automobili delle autorità e che sventola i cappelli per salutare il re che si è affacciato.

Il terzo episodio è dedicato al “30 ottobre – Nella gloria di Roma Benito Mussolini capo del Governo di restaurazione”. Mussolini in abiti civili con la tuba consegna un foglio a un collaboratore (la lista dei ministri?), concentramento delle camicie nere in Piazza del Popolo e Mussolini con i quadrumviri che danno precise disposizioni per la sfilata. Gli aerei dal campo di Centocelle sorvolano la città. La sfilata procede verso Piazza Venezia gremita di folla con la fanfara dei Bersaglieri sulla scalinata dell’Altare della Patria omaggiata dal saluto fascista dei partecipanti. Il corteo continua a sfilare per poi dirigersi verso il Quirinale dove il re Con l’ammiraglio Thaon di Revel e il generale Cadorna assistono al grande corteo. Le ultime sequenze mostrano Mussolini con Thaon di Revel e Cadorna che sfilano verso il Vittoriano per rendere omaggio al milite ignoto.

Commenta Carlo d’Acquisto nella presentazione del film restaurato:

“Si capisce … che c’erano delle immagini fatte in diversi momenti e poi messi insieme, come se fosse un work in progress. … La forza di questo documento sta nel suo essere in qualche modo l’antesignano di quello che sarà poi il tipico stile dell’Istituto Luce. Un primo, imperfetto, sforzo propagandistico in cui lo stesso Mussolini “l’eroe purissimo” è ripreso, … in maniera un po’ estemporanea, senza una grande cura dell’immagine. Non c’era ancora quella cultura che darà agli operatori un modo molto preciso di riprendere il Duce e di consegnarlo al popolo. Le immagini sono state riprese in maniera frettolosa, perché non si sapeva come sarebbe andata la marcia su Roma”.

A Noi! nella versione restaurata dall’Istituto Luce è visionabile <qui>.

 

La decostruzione di Cousins (Italia 2022)

Presentato al Festival di Venezia il 31 agosto fuori concorso nella sezione Giornate degli autori. Il progetto originario era di Tony Saccucci che aveva visionato filmati degli anni venti del ‘900 e in particolare A Noi! di Paradisi. Si rende conto che era necessario uno sguardo straniero che rivedesse quel periodo con un occhio diverso da quello consueto nel nostro paese. Sottopone il progetto a Cousins che ne è entusiasta e insieme scrivono la sceneggiatura.

L’Italia è il Paese che mi ha maggiormente ispirato a livello visivo, sono quindi entusiasta di realizzare proprio qui un film sulla cultura delle immagini.

L’affermazione del regista irlandese è chiara: non intende realizzare un documentario storico, ma sulla “cultura delle immagini” del fascismo e pertanto un documentario (un docu-drama) su come il fascismo si è autorappresentato e si è proposto agli italiani e al mondo intero; in sostanza sulla sua mitizzazione e nello specifico sul mito della marcia su Roma. Il tutto naturalmente con il suo stile e il suo metodo: non cronologico, non per successioni logiche ma per rimandi visivi da immagine ad immagine con una circolarità che parte dal presente di Trump che pronuncia una frase ripresa dal repertorio mussoliniano (Meglio vivere un giorno da leoni che cento da pecora), richiamato verso la fine dalle immagini dell’assalto a Capitol Hill.

La suddivisione in capitoli che scandiscono le sequenze non sempre aiuta perché quello che conta non è il filo logico ma le connessioni, ad esempio le immagini sghembe di Roma, che ancor oggi testimoniano l’architettura del regime, ci ricordano che in quello “scenario” si impose un attore amante dei balconi. E nel contempo ci richiamano alla nostra mancanza di una seria resa dei conti con il fascismo e le sue eredità.

Tre mi paiono i livelli del discorso di Cousins.

Il primo è l’analisi filologica di A noi! che ne evidenzia trucchi e falsificazioni, ma anche ingenuità di un meccanismo di propaganda ai suoi inizi. Dalle riprese a campo lungo dell’adunata napoletana non così oceanica come si voleva mostrare, al nascondere la pioggia e le relative pozzanghere che avrebbero reso meno “solare” la gloriosa marcia, all’utilizzo di tre cineprese in contemporanea da punti diversi per poi montare in successione le sequenze moltiplicando il numero dei partecipanti, all’aereo che parte da Centocelle che con immagini sovrapposte diventa una intera squadra che sorvola gloriosamente il corteo, e soprattutto l’anticipazione della data della sfilata e l’utilizzo di immagini di Mussolini che vien fatto sfilare mentre non era ancora a Roma e all’altare della Patria con seguente invece relative al 4 novembre. E di contrappunto alle falsificazioni del “documentario” di Paradisi le immagini veritiere della Napoli del 1922 con la folla, questa sì oceanica, testimoni della vita collettiva partenopea documentata (paradossalmente?) dalla “fiction” È piccerella di Elvira Notari. Di particolare impatto la scena della affollata mensa per i poveri durante la festa della Madonna del Carmine mentre dall’alto dei balconi delle case patrizie si affacciano le giovani dame vestite a festa: una efficace rappresentazione del popolo e delle divisioni di classe, del tutto assenti in A Noi!

A rappresentare, in un secondo livello, il rapporto popolo/fascismo e la sua evoluzione vi sono le brevi parti fiction con Alba Rohrwacher che interpreta una popolana che inizialmente riprende convinta gli impegni (ordine, pace, lavoro …) e le frasi del regime (Con l’amore se è possibile, con la forza se è necessario!) e che progressivamente mostrerà invece disincanto e delusione per le mancate promesse del duce. Nei titoli di coda la sua voce intonerà Bella Ciao.

Il terzo livello, in genere meno sottolineato dai commenti, ma a mio parere fondamentale per capire il messaggio che Cousins vuol tramettere agli spettatori, è rappresentato dal Tevere che scorre, oggi come allora. Fuor di metafora le conseguenze e le ricorrenze di quella storia. Mentre le camicie nere scorrono per le vie di Roma un voce fuori campo recita “Mussolini disse che il fascismo era un grido oceanico che fu percepito in tutto il mondo … aveva [purtroppo] ragione”. Si rivela a questo livello l’importanza di quello sguardo “straniero” che cercava Saccucci. Noi italiani, compresi alcuni storici di grido[15], siamo abituati a vedere il fascismo come una questione delimitata nel nostro ventennio; dei fascismi espliciti ed anche impliciti, presenti in tutto il mondo nel secolo scorso e nel nostro in genere non ci occupiamo. Anche in questo caso Cousins non sviluppa un discorso organico ma dissemina tutto il film con segnali forti: da alcune brevi sequenze di Una giornata particolare a testimonianza della emarginazione degli omosessuali, al tema del colonialismo con i fischi dei giornalisti italiani ad impedire al Negus la sua denuncia alla Società delle Nazioni e, di rimando, crude immagini e impressionanti numeri di relative vittime, al tema della guerra e delle sue conseguenze catastrofiche, agli eredi odierni di quella marcia e di quel modo di intendere politica e potere.

Per concludere, Cousins utilizza il linguaggio filmico per smontare il mito della marcia non solo nella sua rappresentazione propagandistica, in particolare cinematografica, ma anche nei suoi contenuti e nelle sue promesse. Alle immagini del mito affianca altre immagini che rendono il mito incongruo: la sua è pertanto una analisi semiotica e non storica. Se leggessimo invece il suo documentario con l’ottica dello storico ne saremmo disorientati per i continui salti temporali e tematici e ci soffermeremmo su alcune enfasi relative a questioni dubbie e controverse quale ad esempio il ruolo della massoneria nella salita al potere di Mussolini.

 

Tratto da https://fractaliaspei.wordpress.com/2022/12/15/marcia-su-roma-di-mark-cousins-decostruzione-di-un-mito/

 

[1] Cfr. Mimmo Franzinelli, L’insurrezione fascista. Storia e mito della marcia su Roma, Mondadori, Roma, p. 158-159.

[2] Ivi, p,211.

[3] Ivi, p. 47.

[4] È il caso, ad esempio, di Ettore Ovazza, ebreo che sarà poi trucidato con la sua famiglia dalle SS a Intra nell’ottobre del 1943.

[5] Antonio Gramsci, 2.01.1921.

[6] Amedeo Bordiga, 26.07.1922.

[7] Ripreso da M. Franzinelli, Insurrezione cit., p. 298-299.

[8] Ivi, p. 272.

[9] Originariamente discorso in inglese tenuto alla Columbia University e pubblicato “The New York Review of Books”; tradotto poi su «La Rivista dei libri» come «Totalitarismo fuzzy e Ur-Fascismo». In seguito pubblicato con il titolo «Il fascismo eterno» in «Cinque scritti morali» (1997) e riproposto isolatamente da La nave di Teseo nel 2018.

[10] Edito in italiano da Carocci, Roma 2018.

[11] Tradotto in italiano da, Donzelli, Roma 2019-

[12] Dai fascismi ai populismi cit. p.48. Per una analisi più approfondita delle posizioni di Finchelstein e di Eco rimando al mio post Fascista chi? Un pubblico dibattito.

[13] Intervista di Luisa Ceretto pubblicata sul n. 17 (luglio 2020) della rivista online Primi Piani.

[14] Fabio Secchi Frau in Mark Cousins. L’arte dell’altrove su Mymovies.it.

[15] Cfr. Emilio Gentile, Chi è fascista, Laterza bari-Roma 2019. Anche per questo testo rimando al mio post Fascista chi? Un pubblico dibattito.

 

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