Regia di Zachary Wigon vedi scheda film
Ormai, appena viene compiuto un passo considerato disdicevole dalle convenzioni sociali (questo discorso, anche se dà fastidio, non è univoco e rimane valido in svariate direzioni), niente è più perdonato, nemmeno all’interno di quelle cerchie ristrette che dovrebbero rappresentare un luogo sicuro, dove invece qualsiasi debolezza può essere comunque utilizzata - senza preavviso e mediante metodologie subdole - per conseguire fini fraudolenti/distruttivi. Di conseguenza, è severamente vietato scomporsi, sentirsi a disagio e abbassare la guardia, obbligando chi si sente – erroneamente, sempre se non si invadono i perimetri altrui - in difetto a individuare uno spazio alternativo nel quale rifugiarsi.
Partendo da uno stato di sottomissione e dominio tramite prestazioni a pagamento, Sanctuary sviscera un intrigante e variegato pacchetto di tematiche, filtrato e adattato in modo tale da riflettersi nella sensibilità dello spettatore, muovendosi su un terreno particolarmente scivoloso senza farsi problemi a pestare i piedi e a capovolgere i fronti, talora rischiando l’osso del collo.
Da tempo, Hal (Christopher Abbott – It comes at night, Catch-22), che è sul punto di rilevare l’attività milionaria lasciatagli in eredità dal padre, frequenta Rebecca (Margaret Qualley – C’era una volta a... Hollywood, Maid), una dominatrice per professione.
I loro incontri seguono copioni scritti su misura, ma questa volta qualcosa sembra non andare per il verso corretto, cosicché quando Hal comunica a Rebecca che il loro rapporto deve chiudersi con la sessione appena ultimata, quest’ultima non accetta di voltare pagina e avanza pretese minacciose.
Solo dopo una lunga e tempestosa nottata, verranno a galla le reali intenzioni dei due protagonisti.
Giostrando in una dimensione da impianto teatrale, contraddistinta da spazi e tempi estremamente ristretti, albergando in una camera e sviluppandosi nel corso di poche ore, Sanctuary suggerisce e pungola, consola e scuote, andando fortunatamente ben oltre le consegne apparenti/iniziali.
Nello specifico, esibisce una spiccata complicità tra sceneggiatore (Micah Bloomberg - Homecoming), regista (Zachary Wigon – The heart machine) e interpreti, tutti sintonizzati sulla medesima lunghezza d’onda, sguazzando nel dubbio con continui salti di carreggiata e parvenze mutevoli, che possono essere confermate o smentite/stralciate da un momento all’altro, per poi eventualmente essere riabilitate e/o ricomparire con variazioni più o meno sostanziali.
Un gioco di ruolo che maneggia con abilità realtà e finzione nonché due personalità complesse, tra tessuti lacerati e fratture da ricomporre, in un ininterrotto tiro alla fune che, tra contrapposizioni di sesso (un uomo combattuto e una donna che sa sempre cosa vuole) e di condizione sociale (chi ha sempre trovato tutto apparecchiato e chi ha dovuto lottare per ogni singola/minuscola conquista), fa saltare in aria le barriere divisorie mettendo a nudo insicurezze inamovibili e desideri reconditi, costrizioni evidenti e vulnerabilità latenti, il timore di un giudizio inclemente e le giustificazioni autoindotte.
Dunque, dimenandosi in un fazzoletto, diagnostica, mostra e alimenta confronti e contrasti, passa con disinvoltura da schiarite a ulteriori rovesci, sfugge di mano per poi rientrare dalla porta di servizio, tira la corda mollandola un attimo prima che si spezzi, può essere aleatorio e subito dopo profondo, può apparire banale/fastidioso e poi liberare istinti frenetici, far sembrare sia tutto voluto e poi uscire dallo schema prefissato.
Di certo, all’interno di uno spartito che non si nasconde dietro un dito e che in alcuni casi forza impunemente la giocata ricomponendosi come se niente fosse, in cattedra ci sale indiscutibilmente Margaret Qualley, con una performance magnetica e poliedrica, straripante e persuasiva, abbagliante e indomabile, mentre Christopher Abbott è giustamente/volutamente una controparte in soggezione, anche quando rialza la testa.
In conclusione, Sanctuary è un film per certi versi sorprendente, al netto di un punto di caduta tutto sommato prevedibile, e per altri sfidante/criticabile, che bolle in pentola per poi cambiare ripetutamente volto, cosparso di scanalature per cui può valere tutto così come il suo contrario, con manipolazioni e distinzioni direttamente soggette alla percezione di chi guarda.
Tra immagine pubblica e desideri privati/inconfessabili, vicoli ciechi e inversioni di marcia, paradossi e artifici, coperchi che saltano e volontà non tacitabili, sottrazioni e sopraffazioni, avvicinamenti e allontanamenti, per un testa a testa interiore ed esteriore dal moto perpetuo, nel quale quasi ogni elemento può tranquillamente rientrare nelle sfere della relatività.
Estroverso e stimolante, senza avere bisogno di piacere a tutti i costi.
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