Regia di Antonio Albanese vedi scheda film
Lontano dai toni rassicuranti e un po' "piacioni" di alcuni personaggi interpretati in precedenza, Albanese affronta una tematica di attualità e ben presto dimenticata dalle istituzioni, relative alle truffe (più o meno legittimate) perpetrate dagli istituti di credito ai danni dei piccoli risparmiatori. Ponendo in risalto la tragedia di un uomo qualunque, Albanese sposta il baricentro dal Veneto, ove ebbero realmente luogo vicende di questo tipo, all'altrettanto laboriosa alta Brianza, nonché zona in cui lo stesso Albanese è nato e cresciuto, muovendo i primi passi proprio in fabbrica. Siamo lontanti dalla caratterizzazine della zona offerta in altre pellicole di pregio, una fra tutte Il capitale umano; quella di Albanese è una Brianza vista "dal basso" e con gli occhi un po' ingenui ed un po' nostalgici di chi ha vissuto tra i confini di un piccolo borgo dove in un certo senso il tempo si è fermato. Difatti la commistione di elementi che scandiscono la vita del protagonista, nonché la realtà locale, sembrano fermi a 30 anni fa: un piccolo paese dove tutti si conoscono, un titolare d'azienda (più adatto chiamarlo padrone secondo l'idioma di chi ha vissuto quelle realtà) paternalistico ma anche scaltro, un'anziana mamma con sempre più problemi di salute da curare, una ex moglie, un'amante e una figlia prossima al matrimonio. Proprio quest'ultimo elemento spinge Antonio Riva, ex tornitore in un'officina meccanica, ora in prepensionamento, a doversi rivolgere al proprio istituto di credito per attingere ai risparmi di una vita (il TFR, l'incentivo all'esodo ricevuto) per poter finanziare la cerimonia della figlia. Ma la banca gli propone di sfruttare invece il trend positivo dei suoi investimenti, delle obbligazioni poi trasformate in titoli azionari, evitando quindi di ritirare parte dei risparmi ma sottoscrivendo un prestito. Presto Antonio viene travolto da un vortice di notizie nefaste: l'istituto di credito si trova in una situazione finanziaria estremamente critica ed il valore del titolo azionario è in picchiata. Nonostante alcuni avvertimenti Antonio diffida a credere che la banca del paese, che più volte definisce Il Confessionale della cittadina possa chiudere i battenti. Le prime conseguenze della diffusione della notizia si vedono sulle persone, su quei piccoli risparmiatori furbescamente tramutati in "azionisti" come un amico idraulico che ha si trova ricoverato in ospedale dopo aver scoperto di aver perso tutto. Sempre più solo ed instabile, ma al contempo orgoglioso, Antonio andrà verso una decisione drastica per la soluzione dei suoi problemi. La prima parte del film si scandisce con un realismo anche un po' romantico, la tenera figura della madre di Antonio, il rapporto idilliaco con la figlia, l'amicizia con i colleghi e amici della bocciofila; ma Albanese anche fa subito nascere qualche inquietudine: sebbene fosse il miglior tornitore della sua ditta, apprendiamo presto che il suo titolare, che tratta paternalisticamente di dipendenti proprio come faceva il sciur padrun di una volta, ha i suoi precisi interessi, Antonio è stato difatto liquidato per togliersi un dipenedente senior e quindi più costoso, per sostituirlo con dei nuovi assunti, salvo poi richiamare Antonio per qualche lavoretto in nero e curargli l'orto. Con i suoi rituali la vita di Antonio, tra piccole difficoltà è pur sempre stabile, ha una ex moglie, un'amante e la notizia del matrimonio della figlia lo galvanizza. Insomma un uomo qualunque ma soprattutto un uomo concreto. Alle avvisaglie del crac della banca Antonio non riesce a capacitarsi, così come non riesce a comprendere che i suoi soldi, sapientemente risparmiati, possano essersi volatilizzati: è emblematica la visita all'amico in ospedale, che dà il titolo al film, che narra di come i suoi risparmi siano frutto dei sacrifici e delle cento domeniche passate a lavorare per costruire la propria casa, salvo ora trovarsi con un pugno di mosche in mano. Altrettanto è bello l'incontro-scontro con i suoi amici che si propongono di aiutarlo, salvo poi accusarlo di ingenuità nella gestione del suo patrimonio; ancor più drammatica la presa di coscienza, purtroppo tardiva, relativa al fatto che anche l'ex titolare di Antonio, a cui si rivolge per consiglio, gli ha mentito sullo stato di salute della banca, scoprendo infine che i clienti più importanti erano stati avvisati in tempo per ritirare i loro patrimoni. In tanti hanno richiamato Ken Loach nella narrazione di questa vicenda, in effetti risulta difficile negarlo, sebbene Albanese rinunci praticamente ad ogni vezzo comico o sarcastico, che invece sono dei marchi di fabbrica nel cinema di Loach. Da apprezzare inoltre che Albanese punti ad una caratterizzazione dei personaggi in "sottrazione", niente recitazione sopra le righe, tanto senso di angoscia e di solitudine, inoltre non punta certo a spiegare le ragioni di una crisi finanziaria, che difatti il protagonista non potrebbe quasi comprendere, ma mira invece ad evidenziarne le conseguenze sulla vita dei singoli. Un po' banali alcune soluzioni: il giovane impiegato amico della figlia che poi si suicida a causa del senso di colpa per il sentirsi complice delle attività criminose della banca a scapito di clienti storici ed inermi, così come il tragico finale appare un po' la soluzione più (drammaticamente) semplice. In ogni caso è sempre un piacere, in un momento di crisi di cinema sempre più evidente, che vi siano ancora idee e volontà di utilizzare questo strumento per una riflessione su vicende troppo facilmente dimenticate.
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